Nell’opinione corrente sono “insensibili” e prive di cervello così come lo immaginiamo per gli animali superiori. Ma Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale, da tempo – e in ultimo anche in questo libro – contesta questa idea comune delle piante. Seppure immobili e radicate nel terreno, le piante rispondono alle modificazioni del contesto modificando il proprio metabolismo. E per poterlo fare devono poter percepire con grande raffinatezza le variazioni nel tempo dei diversi parametri ambientali.
Percezioni vegetali
Mancuso ha dedicato parte della sua ricerca a studiare le caratteristiche della percezione nei vegetali, analizzando la qualità degli stimoli percepiti e delle strutture biologiche in grado di rispondervi. Può così ampiamente documentare la sensibilità delle piante ai cambiamenti periodici o occasionali delle condizioni in cui vivono, la risposta alle variazioni della intensità della luce e della durata dei periodi di illuminazione, della pressione, della gravità, dell’ umidità e della temperatura. Inoltre le piante rilevano la presenza degli elementi chimici utili o dannosi nel suolo ed anche la vicinanza di altri esseri viventi che possono rappresentare per loro un aiuto o un pericolo.
L’apparato radicale è forse la parte più sensibile della pianta, formato da una rete fittissima i cui apici avanzano, diramandosi nel sottosuolo e raccogliendo informazioni sulle caratteristiche di quello che trovano. Una singola pianta di segale può sviluppare centinaia di milioni di apici radicali, un sistema di raccolta di informazioni decentralizzato, capace di percepire gradienti anche debolissimi di ossigeno, di acqua, di temperatura o di sostanze nutritizie e in grado di seguire il gradiente fino alla sorgente con grande precisione.
L’intelligenza delle piante
Secondo Mancuso e la sua équipe di ricerca, gli apparati radicali funzionano come una grande matrice integrata di sensori che elaborano le informazioni ricevute dall’ambiente. Nel loro intreccio, costituiscono una sorta di intelligenza collettiva fondata su decisioni che rispecchiano non la scelta di un singolo quanto una scelta di gruppo. Modelli analoghi si trovano nel funzionamento delle colonie di insetti sociali, o nel volo coordinato degli sciami di uccelli: l’insieme dei tanti organismi costituisce un’unità molto più complessa della semplice somma degli elementi che la compongono, un’unità che ha esigenze diverse da quelle del singolo, che non ha un centro di controllo, che non ubbidisce a decisioni individuali ma dipende dal comportamento di tutti.
Prendendo a modello lo schema vegetale, è interessante pensare che anche la specie umana potrà elaborare una sorta di intelligenza collettiva in una società in cui il gruppo sarà capace di prendere decisioni più adeguate rispetto a quelle prese da un singolo. Questa prospettiva potrà realizzarsi in un futuro vicino. Già oggi grazie alla condivisione garantita da internet l’umanità sta diventando interconnessa e, scrive Mancuso, la connessione globale permetterà alla nostra specie di acquisire capacità attualmente inimmaginabili: basta pensare a Wikipedia, l’enciclopedia che sta attuando prospettive fondate sul funzionamento di modelli vegetali, eliminando i controlli verticali e sviluppando funzioni distribuite.
Altre caratteristiche dei vegetali sono state utilizzate da Mancuso fin dal 2003 come modello per robot plantoidi. Il primo prototipo di plantoide è stato progettato nell’ambito del Progetto europeo Fet, con l’obiettivo di facilitare le esplorazioni in ambienti ostili. Descritti in un articolato studio di fattibilità i plantoidi, grandi poco più di dieci centimetri, avrebbero dovuto essere trasportati – ad esempio- su Marte: qui avrebbero innestato immediatamente le loro radici sul suolo, ricaricandosi in superficie di energia grazie a similfoglie alimentate da cellule fotovoltaiche. I sensori disposti sulla radice capace di allungarsi e di espandersi avrebbero raccolto dati sulle caratteristiche del terreno; l’apice radicale, crescendo, si sarebbe spostato esplorando il suolo in profondità e l’insieme dei dati raccolti avrebbe contribuito a sviluppare strategie di intelligenza distribuita. In un futuro non lontano Mancuso e altri studiosi, convinti dalle possibilità tecnologiche offerte dalla bioispirazione vegetale, immaginano gruppi di pacifici plantoidi che si prendono cura dei nostri giardini.
La bioispirazione vegetale ha ormai applicazioni concrete in diversi settori produttivi. Per esempio, l’architetto Saleh Masoumi ha progettato un grattacielo fillotattico in cui gli appartamenti sono disposti come le foglie sul ramo di una pianta, in successione regolare e tale da garantire ad ognuno la migliore esposizione alla luce. La fillotassi, infatti, riguarda la modalità, caratteristica per ogni specie vegetale, con cui le foglie sono inserite sul ramo, secondo uno sviluppo elicoidale che può essere descritto usando i numeri di Fibonacci. Le nervature delle foglie di Victoria regia hanno a loro volta offerto il modello per la realizzazione dei grandi archi della volta del Crystal Palace di Londra in occasione dell’Esposizione Universale del 1851, del terminal 5 dell’aeroporto J. F. K. di New York e del Palazzetto dello Sport disegnato da Pier Luigi Nervi a Roma. Altre importanti realizzazioni, come il Warka Water progettato da Arturo Vittori, si ispirano alle modalità con cui i vegetali raccolgono per condensazione l’umidità atmosferica, rendendo così disponibili grandi quantità di acqua anche in paesi aridi come l’Etiopia.
Il volume si conclude con la descrizione della Jellyfisch Barge, una serra galleggiante progettata da Mancuso, Favretto e Girardi. Si tratta di un sistema autonomo per la produzione di alimenti vegetali che non richiede terreno coltivabile, che non consuma acqua dolce e che è alimentato da energia pulita come vento e moto ondoso. Ispirata alla natura e alla struttura delle piante, la serra è stata presentata all’Expo di Milano nel 2015 ed è attualmente in grado di funzionare. L’acqua del mare viene ricondensata e desalinizzata nella serra attraverso l’evaporazione e la traspirazione dei vegetali quindi, arricchita di sali minerali, può essere utilizzata per produzione di alimenti vegetali. Le difficoltà che si presentano non sono tecniche ma solo economiche e burocratiche: il progetto non ha ancora trovato i finanziamenti necessari per essere operativo. E pur senza scoraggiarsi, Mancuso conclude polemicamente che mentre consumare le risorse di tutti si può fare anche gratuitamente, al mercato non interessa qualcosa che faccia mangiare le persone senza consumare le risorse del pianeta ma soltanto un sistema che permetta di aumentare i profitti.
Il libro
Stefano Mancuso
Plant Revolution. Le piante hanno già inventato il nostro futuro
Giunti Editore, 2017
Pp. 266, Euro 24.00