Nelle aree rurali dell’Asia dedicate alla coltivazione del litchi i casi di encefalite acuta tra i bambini ricorrono con preoccupante ciclicità: il numero di casi esplode ogni anno tra giugno e luglio, in concomitanza con il periodo di raccolta dei frutti, per poi normalizzarsi dopo la stagione dei monsoni. Nel mese di giugno 2012 nell’ospedale di Dinajpur, nell’omonimo distretto del Bangladesh, 14 bambini tra gli uno e i dodici anni di età sono stati ricoverati con la diagnosi di encefalite acuta, che in poche ore si è rivelata fatale per quasi tutti (13) i piccoli pazienti. Un team di scienziati ha condotto una ricerca sul campo, intervistando i familiari delle vittime, visitando i villaggi e gli orti destinati alla coltivazione dei litchi alla ricerca di possibili correlazioni tra coltivazione dei frutti ed le epidemie ricorrenti. Con una ipotesi, argomentata nel loro articolo sull’American Journal of Tropical Medicine and Hygiene: che i picchi di encefalite siano dovuti all’uso nei campi di pesticidi oggi banditi.
In India l’esplosione periodica di casi di encefalite acuta tra la popolazione è stata spesso correlata all’ingestione di una fitotossina presente nei semi e nella polpa dei litchi, che nei bambini malnutriti può determinare ipoglicemia. I membri del team hanno però raccolto diverse prove che punterebbero il dito anche contro sostanze chimiche usate in agricoltura.
Nel Dinajpur, un numero crescente di terre è coltivato a litchi e gli orti spesso circondano le case dei contadini. I ricercatori hanno intervistato le famiglie dei 14 bambini che hanno contratto l’encefalite nel 2012 e, come gruppi di controllo, 56 vicini con bambini nella stessa fascia d’età dei pazienti oltre che altri 56 genitori scelti in modo casuale in un villaggio vicino. Attraverso una serie di domande in lingua bengali, i ricercatori hanno ricostruito i comportamenti dei bambini nei tre giorni precedenti alla prima manifestazione della malattia, e la sequenza di sintomi con i quali questa si è manifestata: generalmente le urla dei bambini nella notte hanno risvegliato i genitori, seguita entro poche ore da perdita di conoscenza, e nell’arco delle successive 20 ore circa dalla morte in 13 bambini su 14. Tutti i bambini coinvolti tranne uno vivevano in abitazioni molto prossime agli orti, a meno di 10 metri di distanza. L’unico che non viveva in prossimità di terre coltivate a litchi aveva però, secondo i genitori, consumato svariati frutti coltivati in quegli orti.
Le interviste hanno portato alla luce numerosi fattori di rischio legate alle abitudini dei contadini e alla coltivazione dei frutti.
Per massimizzare la produzione, non solo non solo gli alberi di litchi vengono costantemente irrorati di pesticidi e fungicidi, ma vitamine, fertilizzanti e ormoni della crescita vengono largamente impiegati per controllare tutte le fasi dello sviluppo della pianta, dalla fioritura alla maturazione dei frutti. I proprietari dei campi consegnano ai contadini tutti i prodotti da utilizzare, spesso privi delle etichette originali, in modo da rendere impossibile l’identificazione delle sostanze.
Le confezioni vuote vengono poi ammassate dai contadini ai margini dei loro orti, o lasciati in un angolo della casa, insieme agli utensili e agli abiti usati nei campi. Nelle confezioni i ricercatori hanno trovato tracce di sostanze oggi non più consentite per l’uso su prodotti agricoli destinati ad uso alimentare, come l’endosulfano, bandito dalle coltivazioni di 80 paesi.
Nel periodo della raccolta inoltre i bambini vengono impiegati come manodopera a basso costo per arrampicarsi sugli alberi più bassi e raccogliere i frutti. Per quanto riguarda le abitudini di consumo, vengono mangiati anche i frutti caduti a terra, senza lavarli e dopo averli sbucciati con i denti. Le fonti di esposizione di bambini a sostanze presenti sulla superficie dei frutti (o ai residui accumulati su abiti, strumenti, terreno) sono quindi molteplici, rendendo più che plausibile le ipotesi dei ricercatori.
Le coltivazioni di litchi sono fonte di sostentamento per le famiglie che vivono in queste regioni, e per questo spesso gli agricoltori, spinti anche dai proprietari, abusano di prodotti chimici per ottenere il massimo raccolto. Solo la sensibilizzazione della popolazione potrebbe limitare il ripetersi di simili tragedie, concludono i ricercatori.
Riferimenti: American Journal of Tropical Medicine and Hygiene