Petroliere vecchie e insicure che navigano senza controllo sui mari della Bretagna, della Turchia, e in tutto il mediterraneo. Dei loro viaggi restano la solita scia di polemiche e i danni al patrimonio marino, causati anche solo dalla pulizia delle cisterne direttamente in mare. Temi che tornano di strettissima attualità con le recenti catastrofi ambientali sulle coste francesi e nel Mar di Marmara in Turchia, e che scatenano il grido d’allarme delle più importanti associazioni ambientaliste, impegnate da anni a sbloccare l’attuale quadro normativo europeo.
Il Wwf (http://www.wwf.it) denuncia la grave condizione del Mediterraneo, attraverso il quale transitano ogni anno oltre 20 milioni di barili di greggio: un quarto del traffico mondiale delle petroliere su appena lo 0.7% dei mari del mondo. “Dal 1955 ad oggi si sono verificati 1300 incidenti nel mare Nostrum” – dice Stefano Lenzi del Wwf Liguria. “Il 60% delle imbarcazioni in attività supera i 15 anni di età e spesso le navi non dispongono delle più essenziali misure di sicurezza, come il doppio scafo”. Ma anche a livello locale manca nella maggior parte di casi una politica di sicurezza e prevenzione degli incidenti. Per questo il Wwf chiede precisi impegni al governo italiano: “Attivare un sistema di monitoraggio computerizzato continuo del traffico marittimo, attraverso una rete di radio, radar e satellite, come avviene già nelle acque canadesi col Vts (Vessel Traffic System). Obbligare gli armatori a stipulare contratti trasparenti, nei quali sia indicato il nome di un responsabile della sicurezza a bordo della nave; siano elencate le coperture finanziarie e siano specificate le società da coinvolgere in caso di incidente. Adottare infine un criterio unico per quantificare il danno ambientale provocato da ciascun incidente”.
Ancora più agguerrita è la posizione di Greenpeace (http://www.greenpeace.org), che dopo l’incidente sulle coste della Bretagna denuncia l’atteggiamento della Total-Fina attraverso la sua sezione francese: “Noi siamo intervenuti immediatamente nei soccorsi e nella protesta con alcuni nostri containers recanti lo slogan “TOTALly irresponsible, FINAlly guilty” (del tutto irresponsabile, dunque colpevole)” – ha dichiarato Frederic Claveau. “I nostri sono stati solo i primissimi aiuti: ma in questi casi le stesse compagnie petrolifere dovrebbero riparare ai danni causati: perché dispongono di tutti i mezzi necessari, e soprattutto perché è loro dovere morale”. Sul fronte delle misure di sicurezza interviene Aldo Iacomelli, responsabile delle questioni energia di Greenpeace Italia: “è necessario e urgente dotare le imbarcazioni del doppio scafo, addestrare meglio gli equipaggi, certificarne le capacità di intervento in situazioni di incidente e stabilire rotte più sicure (ad esempio eliminando nel mediterraneo il traffico a doppio senso nelle Bocche di Bonifacio). E in un’ottica di lungo periodo – sottolinea Iacomelli – accrescere gli investimenti per rendere più conveniente l’impiego di fonti energetiche alternative, come vento e sole”.
Anche Legambiente (http://www.legambiente.it) ha messo a fuoco il problema dei rischi collegati al trasporto del petrolio. Secondo Sebastiano Vènneri, responsabile delle questioni marine, “il trasporto del greggio è una risorsa importante per l’economia, ma non può trasformarsi in una minaccia per i mari. In Italia, con la Haven, abbiamo vissuto in prima persona il dramma del più grave disastro ambientale del Mediterraneo, ma non ci è servito a molto: le normative internazionali stabilite dall’Imo (International Maritime Organization – http://www.imo.org) sono ancora troppo permissive e gli stessi governi non sono in grado talvolta di attuare efficaci politiche di difesa del patrimonio marino”. Per Legambiente se chi causa danni agli ecosistemi fosse obbligato a sborsare cifre enormi, si innescherebbe un circolo virtuoso che porterebbe gli armatori a rispettare le misure di sicurezza.