Il cosiddetto pillolo, ossia la versione maschile della pillola anticoncezionale, potrebbe essere più vicino. Uno studio presentato a Endo 2022, il congresso annuale della Endocrine Society che si è tenuto ad Atlanta, in Georgia, ha mostrato infatti che due pillole contraccettive maschili sperimentali (DMAU e 11β-MNTDC) sembrano ridurre il testosterone senza causare “effetti collaterali inaccettabili”, tanto che la maggior parte degli uomini che ha preso parte alle sperimentazioni si è detta favorevole a proseguire l’assunzione del farmaco anche dopo la fine del trial, e perfino a consigliarlo ad amici e conoscenti.
“Finora, le opzioni per la contraccezione maschile – commenta Tanar Jacobsohn, ricercatore capo al Contraceptive Development Program dell’Eunice Kennedy Shriver National Institute of Child Health and Human Development, l’istituto che ha condotto la sperimentazione – consistevano sostanzialmente nella vasectomia e nell’uso del profilattico, ed erano quindi molto limitate rispetto a quelle per la contraccezione maschile. Lo sviluppo di un contraccettivo maschile orale efficace e reversibile amplierà le opzioni riproduttive per gli uomini e per le donne, avrà un grande impatto sulla salute pubblica riducendo il numero di gravidanze indesiderate e permetterà agli uomini di avere un ruolo attivo nella pianificazione familiare”.
I farmaci
Il DMAU (sigla di dimethandrolone undecanoato) e l’11β-MNTDC (sigla di nortestosterone dodecilcarbonato) sono allo studio da diverso tempo e hanno un meccanismo d’azione abbastanza simile. Già nel 2018, uno studio condotto dalla University of Washington e presentato, ancora una volta, al congresso annuale della Endocrine Society, mostrò che DMAU è sicuro nei test sull’uomo e che può ridurre i livelli degli ormoni coinvolti nella produzione di spermatozoi. Come la maggior parte delle pillole contraccettive femminili, contiene una combinazione di ormoni, in particolare un androgeno e un progestinico, e agisce sulla produzione di testosterone da parte dell’organismo. Il problema sta nel fatto che, se da un lato la diminuzione di testosterone nei testicoli riduce effettivamente la produzione di sperma (e dunque ha effetto contraccettivo), la sua diminuzione nel sangue provoca effetti collaterali come difficoltà nell’eiaculazione, calo del desiderio, sbalzi d’umore e alterazioni della massa muscolare. Per questo tutti gli approcci farmacologici di questo tipo (ancora in fase sperimentale) abbinano di solito un contraccettivo ormonale all’assunzione di testosterone per via iniettiva o tramite gel, che assorbiti dalla pelle riescono a fornire il testosterone a livelli sufficientemente bassi da evitare la produzione di spermatozoi ma abbastanza alti da prevenire la comparsa degli effetti collaterali succitati. DMAU aggira il problema perché contiene undecanoato, un acido grasso a catena lunga che rallenta il processo di degradazione del testosterone, permettendo così di assumerlo una sola volta al giorno. Risultati simili per il 11β-MNTDC: uno studio presentato a Endo 2019 (condotto su un piccolo gruppo di uomini) ne aveva già dimostrato efficacia e sicurezza.
Le sperimentazioni più recenti
Gli ultimi risultati sono relativi a due trial clinici di fase 1 con 96 partecipanti maschi in salute, di 28 giorni di durata. Sono state somministrate due o quattro pillole contenenti il principio attivo o un placebo: i livelli di testosterone sono calati sotto la norma dopo sette giorni di assunzione della pillola, mentre nel gruppo che ha assunto il placebo sono rimasti inalterati.
Il 75% degli uomini che ha assunto il farmaco, inoltre, si è detto desideroso di continuare ad assumerlo in futuro (nel caso del placebo la percentuale è stata del 46,6%); negli uomini che hanno assunto la dose completa (400 mg, quattro pillole al giorno) i livelli di testosterone sono risultati significativamente più bassi rispetto a quelli che avevano assunto la dose dimezzata. Non ci sono state differenze significative tra i due gruppi, invece, per quanto riguarda la soddisfazione, la volontà di continuare il trattamento e la possibilità di consigliarlo ad altri.
“Le esperienze positive nei trial clinici – prosegue Jacobsohn – e l’alto tasso di accettabilità per questi farmaci possono essere fattori chiave per convincere l’opinione pubblica della sicurezza di una pillola contraccettiva maschile che potrebbe essere disponibile nei prossimi decenni”.
Le alternative: pillole non ormonali
Le strade per la realizzazione di una pillola anticoncezionale maschile non sono solo ormonali. A marzo 2022, per esempio, un’équipe di scienziati ha dichiarato, nel corso del convegno annuale della American Chemical Society, di aver sviluppato una pillola contraccettiva maschile efficace al 99% (nei topi) e che avrebbe testato sugli esseri umani entro la fine dell’anno. Il lavoro è stato condotto dagli esperti della University of Minnesota, e il farmaco presentato ha come obiettivo una proteina chiamata “recettore alfa dell’acido retinoico” (RARα). L’acido retinoico è un “sottoprodotto” della vitamina A, e ha una funzione chiave nella crescita cellulare, nella formazione dello sperma e nello sviluppo dell’embrione. L’acido retinoico, in particolare, deve interagire con RARα per poter svolgere queste funzioni: è stato infatti osservato che topi privi del gene responsabile della produzione di RARα sono sterili. Proprio da questo spunto è partito il lavoro in questione, i cui autori che hanno sviluppato un composto (identificandone la struttura cellulare con l’aiuto di un modello computerizzato) per bloccare l’azione di RARα. La sostanza chimica, chiamata YCT529, agisce solo su RARα e non sugli altri due recettori (RARβ e RARγ) dell’acido retinoico, per minimizzare i possibili effetti collaterali: somministrata oralmente a topi per due settimane, la sostanza ha diminuito significativamente la conta spermatica e si è rivelata efficace al 99% nel ridurre le gravidanze, senza alcun effetto collaterale. Sei mesi dopo il trattamento, i topi sono tornati fertili. Se i trial sugli esseri umani dovessero avere risultati positivi, il farmaco potrebbe essere disponibile tra cinque anni.
Un altro possibile candidato al ruolo di “pillolo” è un composto sviluppato e testato (sempre su topi) nel 2015 dall’équipe di Haruiko Miyata, e descritto sulle pagine di Science. Il farmaco ha come obiettivo la calcineurina, una proteina che gioca un ruolo molto importante nella formazione dello sperma. Miyata e colleghi, in particolare, hanno analizzato in dettaglio due specifiche varianti della proteina, scoprendo che nei topi in cui queste varianti erano state inibite tramite la somministrazione di ciclosporina diventavano sterili, sebbene ancora in grado di accoppiarsi: i loro spermatozoi infatti non erano in grado di fecondare gli ovuli, nemmeno attraverso la fecondazione in vitro, in quanto erano meno flessibili e incapaci di piegarsi come avrebbero dovuto per penetrare la membrana dell’ovulo. Il team ha scoperto che bastavano appena 5 o 6 giorni di somministrazione per rendere gli animali sterili, e soprattutto che una settimana dopo l’interruzione del trattamento la fertilità veniva completamente ripristinata.
Credits immagine: Reproductive Health Supplies Coalition/Unsplash
Via: Wired.it