In alcune parti del Pianeta anche tirare lo sciacquone può essere considerato uno spreco inaccettabile: più di quattro miliardi di persone vivono in zone in cui la disponibilità di acqua potabile è estremamente limitata, se non praticamente assente. In queta condizione la salute umana è in grave pericolo, ma anche quella della fauna dei fiumi e delle falde acquifere. A spiegarlo è un gruppo ricercatori dell’Università della California – Irvine (Uci) secondo il quale è fondamentale un cambiamento radicale nel consumo idrico umano, e che venga al contempo potenziato il riciclo delle acque di scarico.
“È l’unica strada possibile per avere acqua a sufficienza per i bisogni umani e per quelli degli ecosistemi”, commenta Stanley Grant, responsabile dell’indagine. “Dobbiamo concentrarci sul miglioramento della produttività e del valore delle risorse esistenti, il che praticamente vuol dire spremere di più da un bicchiere d’acqua”.
Nel loro studio, pubblicato su Science all’interno di uno speciale dedicato al tema del riciclo delle risorse, gli studiosi identificano tre approcci principali. Alcuni paesi puntano sulla sostituzione, dove possibile, dell’acqua potabile con acque meno pure. Un esempio è Hong Kong, dove l’80 per cento degli sciacquoni dei suoi sette milioni di abitanti funzionano con acqua marina. Un altro approccio è quello di rigenerare le acque di scarico, trattandole e reimmettendole nel ciclo dell’acqua potabile, come viene fatto in Namibia sin dagli anni ’60. Infine, si possono ridurre gli sprechi: questa è una soluzione fondamentale soprattutto per i paesi in via di sviluppo, dove è stimato che la cattiva condizione delle tubature sia responsabile dello spreco di più del 50 percento delle risorse idriche disponibili.
“Queste opzioni, complementari, ottimizzano le risorse di acqua potabile, sono applicabili ovunque e portano dei benefici sostanziali per l’ambiente”, concludono i ricercatori. “La loro adozione richiederà un cambiamento nei metodi con cui l’acqua viene ora ottenuta, utilizzata, gestita e prezzata”.
Non solo di acqua però si occupa lo speciale di Science: biomassa, metallo, plastica e gas possono essere trasformati, con una gestione oculata, in risorse strategiche fondamentali. Per esempio Bruce Logan e Korneel Rabaey, rispettivamente della Pennsylvania State University (Usa) e dell’Univeristeit Gent (Belgio), descrivono un metodo con cui sfruttare le proprietà elettrochimiche di alcuni batteri per trasformare i rifiuti organici in biocarburanti, metano, idrogeno e altri composti chimici di valore. I ricercatori ipotizzano che sarebbe addirittura possibile utilizzare questi microrganismi durante i processi di smaltimento delle acque di scarico, per produrre da queste energia.
Un’altra ricerca, effettuata da un gruppo guidato da un italiano, Matteo Cargnello dell’Università di Trieste, promette invece di combattere l’inquinamento da metano. Eliminare questo gas, prodotto non solo dai tubi di scappamento delle automobili, ma anche dai sistemi di riciclo dei rifiuti organici, risulta complicato per via delle alte temperature necessarie. Il team di Cargnello ha sviluppato un catalizzatore al palladio rivestito di un ossido di cerio che permette di abbassare di molto la temperatura richiesta, un passo fondamentale verso il controllo delle emissioni.
Riferimenti: Science
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