Poca ricerca nelle imprese

Con lo sviluppo dei mercati globali e le sfide alla competitività lanciate in Europa dall’introduzione della moneta unica, l’innovazione tecnologica si fa sempre più impellente per le imprese italiane. Di terreno da recuperare ce n’è molto. Anche perché negli ultimi anni l’economia italiana, più volte a rischio di recessione e indebolita dai sacrifici necessari all’ingresso in Eurolandia, ha un po’ trascurato i temi dello sviluppo interno. Nel 1997 la spesa per ricerca e sviluppo è stata solo lo 1,01 del Pil, e per il 1998 e 1999 gli aumenti sono stati minimi arrivando all’1,04 e all’1,07 per cento. Oltretutto, l’aggiornamento tecnologico deve anche fare i conti con la necessità di salvaguardare i posti di lavoro e l’ambiente. Ne parliamo con Mario Pianta, professore di Politica economica all’Università di Urbino e collaboratore del Cnr.

Professor Pianta, in Italia gli aiuti all’innovazione tecnologica che effetti hanno avuto?

“Siamo molto indietro con i finanziamenti. Mentre da un lato imprese investono meno nella ricerca, la legge finanziaria prevede un sistema di crediti d’imposta che le stimola a sfruttare i benefici fiscali senza un reale aumento dei finanziamenti. Inoltre, il sistema italiano vive una anomalia tutta sua: sebbene il 70 per cento delle imprese nostrane abbia meno di 100 dipendenti, negli ultimi dieci anni i benefici degli aiuti all’innovazione si sono riversati soprattutto sulle grandi imprese ad alta tecnologia (settore aeronautico, automobilistico, farmaceutico, telecomunicazioni, chimica), che sono pochissime. E, ormai, in gran parte di proprietà di gruppi stranieri che hanno dirottato il grosso della ricerca fuori dai nostri confini. Negli anni 1990-94, dice l’Istat, tra le piccole imprese appena una su tre ha ricevuto finanziamenti pubblici. E solo una su quattro incentivi finanziari. Inoltre, le commesse pubbliche sono state irrilevanti nelle scelte dell’80 per cento di quelle 7500 imprese che hanno innovato il loro processo produttivo. In generale, queste imprese non sono soddisfatte delle politiche dell’innovazione tecnologica”.

Come è organizzato il sistema dei finanziamenti?

“Tutto avviene tramite la legge 46 del 1982, che istituisce il Fondo per la ricerca applicata, gestito dal Murst, e il Fondo per l’innovazione tecnologica, di competenza del Ministero dell’industria. Esistono poi i Programmi nazionali di ricerca, che finanziano progetti per lo sviluppo di specifiche tecnologie. Altre forme di aiuto prevedono interventi particolari sul territorio (creazione di incubatori di impresa o parchi scientifici, specialmente al Sud) o semplici sgravi fiscali per l’acquisto di macchinari. Inoltre, le aree meno sviluppate possono usufruire di fondi europei. Anche i privati sostengono la ricerca: il loro contributo è quantificabile all’incirca nel 40 per cento della spesa complessiva”.

L’innovazione tecnologica fa crescere l’occupazione?

“Finora gli effetti non sono stati molto incoraggianti: i finanziamenti hanno comportato perlopiù una riduzione dei posti di lavoro esistenti, incoraggiando le imprese all’acquisto di nuovi macchinari piuttosto che alla tutela del lavoro. In un’economia che ristagnava come quella degli anni 1990-94 si è assistito tendenzialmente alla crescita delle imprese che hanno beneficiato degli aiuti e alla crisi delle altre. Negli stessi anni paradossalmente, le imprese che hanno innovato di meno hanno perso molti meno posti di lavoro”.

E l’ambiente che vantaggi ha avuto dal rimodernamento dei cicli produttivi?

“Le politiche dell’innovazione hanno leggermente migliorato gli standard ambientali, ma è evidente che le aziende hanno reso più “puliti” i loro impianti soprattutto sulla spinta di specifiche normative ambientali”.

In quale direzione dovrebbero andare le future politiche dell’innovazione?

“Certamente andrà migliorato il sostegno alle moltissime piccole imprese innovatrici, finora supportate inadeguatamente. Inoltre, si dovrà puntare all’espansione dei mercati e della produzione. E investire in conoscenze e professionalità, soprattutto nei settori dominati dalle nuove tecnologie, con programmi che permettano la effettiva diffusione degli strumenti informatici e di Internet”.

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