Alcuni paesi, Giappone in testa, cercano di dimostrare che la caccia ai cetacei favorisce l’aumento delle popolazioni ittiche. Ma un articolo apparso su Science smentisce questa ipotesi: a lungo termine l’effetto è esattamente l’opposto.
Secondo Leah Gerber della Arizona State University, primo autore della ricerca, basandosi sul cosiddetto “approccio ecosistemico” (la metodologia di indagine che considera tutti gli aspetti legati a un determinato ambiente nella sua complessità) si dimostra che la diminuzione dei cetacei può portare solo a un’ulteriore riduzione del pescato. Molte balene, infatti, si nutrono di specie ittiche che non hanno alcuna importanza commerciale, ma che competono per il plancton con le specie di maggior valore. Così l’aumento delle prime, dovuto alla ridotta predazione da parte dei cetacei, non può che penalizzare le seconde.
Lo studio, basato sui dati relativi al Nord Africa e ai Caraibi, mette bene in luce questo fenomeno attraverso simulazioni del tasso di crescita delle popolazioni ittiche. Secondo gli autori, una gestione della pesca che consideri tutti gli aspetti di un ecosistema, compresi inquinamento e cambiamenti climatici a livello globale, è l’unico provvedimento che possa garantire la conservazione delle risorse ittiche per le generazioni future.
La teoria proposta in sede di Commissione internazionale per la caccia alle balene (Iwc) dai paesi tradizionalmente cacciatori (come Giappone e Norvegia), non sarebbe quindi da prendere in considerazione, perché guarda solo agli effetti a breve termine e non tiene conto di una visione ecosistemica. (s.s.)
Riferimento: Science 13 February 2009: Vol. 323. no. 5916, pp. 880 – 881 DOI: 10.1126/science.1169981