Ci sono ancora poche donne nella ricerca. E ce ne sono ancora meno nelle posizioni decisionali e di alto livello in carriera. Un divario di genere in Europa che emerge chiaramente dal rapporto She figures 2021, il documento che raccoglie statistiche ed indicatori sulle differenze tra donne e uomini, dalla scelta del corso di laurea fino al mondo del lavoro. La Commissione Europea ha riaffermato il suo impegno in questo ambito, chiedendo a tutti gli enti pubblici che vogliono accedere ai finanziamenti europei, di possedere un piano per il raggiungimento della parità di genere (Gep), un piano, cioè, più o meno dettagliato, che prevede corsi di formazione sul tema delle discriminazione di genere, politiche di conciliazione vita/lavoro e azioni che possano promuovere la parità. Non tutti gli Stati stanno progredendo con la stessa velocità e anche dove sono state intraprese delle misure, non è ancora chiaro quali siano quelle più efficaci. Serve una strategia a livello europeo. Il progetto europeo CASPER, appena concluso e che vede tra gli altri, i due partner italiani, Smart Venice e Knowledge & Innovation, ha sostenuto l’importanza di un sistema europeo di certificazione dell’uguaglianza di genere per le università e gli enti ricerca (Gecas), delineandone anche tre possibili scenari per la realizzazione. Sarà ora la Commissione Europea a scegliere il percorso comune reputato più adatto per tutti gli Stati membri.
Tre scenari per la parità di genere in Europa
Maria Sangiuliano, ricercatrice, project manager e formatrice sul tema genere e innovazione presso Smart Venice, ha raccontato a Galileo i tre scenari emersi dal progetto. Il primo prevede un sistema di certificazione del tutto nuovo a livello europeo che valuterebbe sia il processo che i risultati dell’attuazione dei Gep. Funzionerebbe con un sistema di punteggio progressivo e richiederebbe un rinnovo della certificazione ogni quattro anni.
Il secondo scenario propone invece di utilizzare un semplice sistema di approvazione/bocciatura dell’organizzazione di ricerca, considerando principalmente il processo che è stato impostato per raggiungere gli obiettivi di uguaglianza di genere, senza però valutarne i risultati.
Il primo scenario più ambizioso ma anche più efficace è caldeggiato da stati come Germania e Svezia che hanno a disposizioni infrastrutture di supporto e una lunga tradizione sui temi di genere. Viceversa, la seconda soluzione, decisamente più blanda, troverebbe l’appoggio di paesi come Ungheria e Polonia che rifiutano apertamente di intervenire sull’uguaglianza di genere o di fornire risorse e supporto.
C’è anche una terza proposta però e suggerisce di utilizzare un sistema di certificazione già sviluppato in UK, dal nome Athena SWAN, convertendolo in un sistema di certificazione a livello europeo. Questo scenario sarebbe simile al primo, con i vantaggi e gli svantaggi però che derivano dall’utilizzo di un sistema già verificato, ma nato in una realtà diversa dall’Europa.
Concluso il progetto Casper, la Commissione Europea, al momento, sta valutando le proposte. Secondo Sangiuliano sarebbe difficile prevedere quale scenario sarà attuato: la Commissione potrebbe addirittura decidere di non intraprendere azioni dirette, lasciando tutta la responsabilità alle autorità nazionali e giocando solo un ruolo di supporto.
I dati in Italia
Anche in Italia tutte le organizzazioni coinvolte nella ricerca e nell’innovazione stanno procedendo alla redazione dei Gep. Lo scopo è non rimanere esclusi dai finanziamenti europei e dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) che prevede che il 40% dei fondi stanziati per nuove assunzioni nella ricerca debba essere destinato a donne. Sono previsti, inoltre, sgravi contributivi e finanziamenti pubblici per le piccole e medie imprese che attuino iniziative a favore della parità di genere.
La speranza è che queste azioni non si rivelino solo pinkwashing, ma possano effettivamente combattere le barriere che limitano ancora la partecipazione delle donne alla ricerca: stereotipi, molestie, senso di sfiducia e maggiori responsabilità familiari. L’esigenza di un cambiamento in Italia è reale: secondo le ultime rilevazioni riportate in She figures, le donne italiane sono solo un terzo degli occupati nella ricerca, in linea con la media europea. Nelle posizioni più alte in carriera la presenza femminile si riduce a meno di un quarto. Una maggiore percentuale di donne lavora part-time, soprattutto in presenza di figli ed ha forme contrattuali precarie. Solo circa il 10% dei brevetti sono depositati da donne, che rappresentano meno del 25% dei membri nei consigli di amministrazione che dirigono solo nel 7% dei casi, ben sotto la media europea che si attesta al 24%. Infine, meno del 10% degli enti ricerca o di università sono presiedute da donne, contro la media europea superiore, anche se non troppo incoraggiante, del 18%.
Riferimento: CASPER; Universitat Oberta de Catalunya
Credits immagine: National Cancer Institute on Unsplash