Ci siamo stati, ci torneremo. Probabilmente come pit stop prima di dirigerci su Marte, aveva promesso il presidente Trump. Ma se e quando dovessimo tornare a visitare il nostro satellite, anche se lo abbiamo già fatto quasi 50 anni fa per la prima volta, quali sono i rischi cui potrebbero andare incontro i prossimi astronauti? Perché ci sono condizioni che non andrebbero sottovalutate, ha ricordato nei giorni scorsi una presentazione durante la conferenza dell’American Geophysical Union a Washington DC, puntando il dito soprattutto alla polvere della Luna.
La polvere della Luna sotto studio
Il nostro satellite ha infatti una superficie piuttosto polverosa, composta per il 20% da granelli molto fini, la cui inalazione rischia di provocare infiammazioni nel tessuto respiratorio. Sarebbe stata questa fine polvere a causare sintomi quali nausea, mal di testa e febbre negli astronauti delle missioni Apollo che hanno toccato Terra, pardon Luna.
In passato alcuni studi avevano evidenziato poi come i silicati ricchi di ferro, simili a quelli trovati nelle polveri lunari, possano generare una maggiore quantità di radicali liberi: specie reattive dell’ossigeno che potrebbero danneggiare le cellule, compromettendo la loro funzione. E alla conferenza dell’American Geophysical Union Donald Hendrix della Stony Brook University (Stati Uniti) è tornato sull’argomento, parlando anche del modo in cui misurare la persistenza della polvere lunare all’interno dell’organismo umano. Per farlo i ricercatori hanno messo minerali ricchi di ferro come l’augite e l’olivina (due materiali a base di ferro che si trovano sulla Luna) a contatto con l’equivalente del fluido polmonare (un fluido polmonare simulato), per simulare appunto il nostro sistema respiratorio.
Polvere in rapido dissolvimento
Hendrix e il suo gruppo di lavoro hanno visto come i minerali si dissolvevano rapidamente, come suggerivamo le variazioni del pH della soluzione e dalla concentrazione degli ioni generati dalla disgregazione degli atomi dei minerali. Il materiale usato per questi esperimenti è simile a quello lunare, ma meno reattivo, e per questo Hendrix pensa che la polvere della Luna potrebbe avere ripercussioni ancora maggiori. Secondo il ricercatore queste sostanze possono facilmente entrare nel corpo umano (viste le piccolissime dimensioni), dando origine ad una grande quantità di radicali.
Valutare i rischi
“È importante – si legge nell’abstract della presentazione – capire quali effetti la povere lunare potrebbe avere sugli astronauti se i metodi usati per mitigarne l’esposizione dovrebbero rivelarsi inadeguati nelle missioni future. Il nostro lavoro inoltre migliora la comprensione delle proprietà chimiche della reattività della polvere lunare, e questo potrebbe favorire miglioramenti anche nelle strategie usate per trattare le persone esposte alla polvere del nostro satellite”.
Ma non è detto che tutto questo sia necessario, avverte Cort Anastasio della University of California di Davis (Stati Uniti) che sul New Scientist afferma: “La generazione di radicali da parte dei metalli dipende in larga misura dalle caratteristiche del fluido. Inoltre, i nostri polmoni hanno meccanismi di difesa contro questi radicali liberi, per cui è difficile valutare la tossicità di una certa quantità”.
Se è vero che lo studio di Hendrix ha oggettivamente dei limiti (si tratta pur sempre di una simulazione), potrebbe comunque fornire alcune indicazioni sui metodi migliori per proteggere le prossime missioni che arriveranno dalle parti della Luna.
Riferimenti: American Geophysical Union