Le tre competenze di base che hanno permesso a Orazio Giancola e Luca Salmieri, entrambi docenti di Sapienza Università di Roma, di definire e valutare la povertà educativa in Italia riguardano il saper leggere e interpretare un testo, svolgere calcoli elementari e risolvere problemi semplici, conoscere e utilizzare i principi della razionalità scientifica. I dati su cui si fonda la ricerca relativa all’istruzione provengono sostanzialmente da due indagini internazionali, OCSE-PISA (Programme for International Student Assessment) e PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies), la prima ripetuta ogni tre anni su studenti quindicenni, la seconda somministrata ogni dieci anni; infatti la prima indagine PIAAC del 2013 ha valutato le competenze degli adulti con età comprese tra i 16 e i 65 anni.
Povertà educativa e competenze di base
La povertà educativa, spiegano gli autori, è un fenomeno multidimensionale, che può essere visto sia come causa che come effetto di competenze di base atrofizzate: queste sono soggette ad un graduale impoverimento sia perché nel tempo divengono obsolete, sia perché l’invecchiamento porta ad un generico declino cognitivo. I grafici e le tabelle riportate nel testo dimostrano che il mantenimento delle competenze dipende non tanto dalla qualità dei sistemi scolastici e di educazione degli adulti quanto, soprattutto, dal modo in cui è organizzato il mercato del lavoro, dai modi di vivere e dalle pratiche culturali extra lavorative. Al tempo stesso la mancanza di competenze di base, che porta a non sapersi adattare alla complessità dei cambiamenti tecnologici, spesso non permette di avere un lavoro dignitoso e gratificante né di continuare ad apprendere e di adeguarsi a nuove richieste.
Un problema di cultura generale
Tullio De Mauro ha più volte documentato le grandi disuguaglianze culturali nella popolazione italiana e l‘indagine PIAAC del 2013 mette in evidenza come l’Italia occupi l’ultima posizione in Europa per la quota di coloro che superano il secondo livello di competenze in lettura e comprensione del testo. In generale i dati sono sconfortanti, e gli autori ne esplorano le radici storiche e le cause che hanno contribuito, nel tempo, alla forte persistenza della povertà educativa. Il dato fondamentale che emerge dalla ricerca riguarda la non correlazione tra sistema di istruzione e situazione culturale del paese. Secondo la loro ipotesi, la storica povertà educativa italiana non è dovuta tanto al sistema di istruzione, e alle condizioni in cui questo versa attualmente, ma è strettamente connessa al background socioculturale ed economico degli studenti. L’origine sociale e l’ambiente familiare sono determinanti e il divario tra i livelli delle diverse performances degli studenti aumenta tra Nord e Sud, aumenta col genere e con le aspettative sociali diverse per ragazzi e ragazze, aumenta a seconda della qualità della cultura familiare e delle disponibilità economiche che permettono di proseguire o meno gli studi fino alla laurea.
Colpa della scuola?
I dati presentati dagli autori contestano quindi le ipotesi sostenute di Mastrocola e Ricolfi che attribuiscono il presunto fallimento della scuola attuale alla decadenza della qualità dell’istruzione, e mettono invece in evidenza il peso dei fattori extrascolastici, delle disuguaglianze sociali e culturali. Le differenze curricolari dei percorsi liceali, tecnici e professionali si manifestano nelle differenze dei successi universitari: l’accesso è formalmente consentito a tutti, ma gli studenti di origine sociale inferiore rischiano di non possedere le conoscenze di base necessarie per completare il percorso fino alla laurea.
I risultati dell’INVALSI
Le disuguaglianze sociali hanno effetto anche sulla povertà educativa rilevata nel Mezzogiorno e nelle regioni del Nord. Ancora, si documentano con accurati grafici e tabelle le notevoli differenze nel rendimento degli studenti anche attraverso i risultati delle prove INVALSI, che tuttavia non permettono di formulare esplicite ipotesi sulle cause che li originano. Il confronto nelle abilità di lettura, tra i quindicenni del 2000 e quelle dei 26-28enni del 2013, dimostra poi un peggioramento nell’età adulta, ma povertà analoghe si riscontano anche nelle competenze matematiche e scientifiche. Inoltre in Italia, nonostante gli sforzi in termini di politiche educative e di inclusione, la frequenza dell’abbandono scolastico è ancora rilevante. È interessante rilevare che la povertà educativa, per ragioni socioeconomiche e culturali, tende a riprodursi sempre più per via maschile.
Il confronto con l’Europa
Nel testo, la situazione italiana viene inoltre confrontata, per le diverse discipline, con quanto si verifica nel Sud dell’Europa, in Paesi che più assomigliano al nostro come la Spagna, la Grecia, il Portogallo e la piccola Malta. Si confrontano i diversi sistemi di istruzione, considerandone le modalità organizzative, il curricolo, la maggiore o minore autonomia; le rilevazioni effettuate nelle varie nazioni non mostrano grande variabilità nei livelli di competenze, ma almeno in lettura e matematica la nostra situazione risulta particolarmente grave.
Manca una politica per l’istruzione
Per migliorarla, sostengono gli autori, non è sufficiente migliorare la qualità degli insegnamenti-apprendimenti, ed è a lungo mancata una politica strutturale e integrata per l’istruzione. Tuttavia, senza mettere in discussione la documentazione presentata ma in aggiunta alle conclusioni degli autori, si potrebbe rilevare che se tutti i percorsi di studio (compresi quelli degli istituti professionali) riuscissero a sviluppare le competenze fondamentali, se le scuole dell’infanzia fossero accessibili a tutti, se i concorsi a cattedra fossero un po’ più selettivi, se gli istituti iniziassero l’anno scolastico con un organico al completo, ad orario non ridotto… chi sa, forse la povertà culturale italiana potrebbe anche ridursi.
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