“Con il momento della nascita la legge attribuisce la pienezza del diritto alla vita e quindi all’assistenza sanitaria. Pertanto un neonato vitale va trattato come qualsiasi persona in condizioni di rischio ed assistito adeguatamente. L’attività rianimatoria esercitata alla nascita dà quindi il tempo necessario per una migliore valutazione delle condizioni cliniche, della risposta alla terapia intensiva e della possibilità di sopravvivenza e permette di discutere il caso con il personale dell’Unità ed i genitori. Se ci si rendesse conto dell’inutilità degli sforzi terapeutici, bisogna evitare ad ogni costo che le cure intensive possano trasformarsi in accanimento terapeutico”. Ecco cosa afferma, tra le altre cose, il documento sui prematuri redatto dai direttori delle Cliniche di Ginecologia delle Facoltà di Medicina delle università romane (Tor Vergata, Sapienza, Cattolica e Campus Biomedico) che ha scatenato l’ennesima e violenta polemica.
La cosiddetta Carta di Roma, però, è un documento abbastanza generico (non indica l’età gestazionale, per esempio, e non si sofferma sulla natura e gravità della eventuale patologia del neonato), tanto da sollevare dubbi circa il suo significato non letterale. Perché proporre oggi un simile documento, tanto più che rischia di essere un doppione? Esiste già, infatti, un documento ministeriale, “Raccomandazioni per le Cure Perinatali nelle Età Gestazionali Estremamente Basse (22-25 settimane)”, frutto del lavoro di un tavolo di esperti istituito nell’aprile 2007 e trasmesso il 4 febbraio scorso al Consiglio Superiore di Sanità, che dovrà redigere un parere al riguardo.
E se non bastasse, esiste la Carta di Firenze, Cure perinatali nelle età gestazionali estremamente basse (22-25 settimane), una sorta di regolamento etico promosso da numerose Cliniche di Medicina Neonatale e di Ostetricia poco più di un anno fa (qui il documento). Che ha il pregio, al contrario del documento romano, di dare indicazioni precise. Il trattamento intensivo a 24 settimane, per esempio, “è indicato sulla base di criteri clinici obiettivi durante e dopo le manovre rianimatorie, quali sforzi respiratori spontanei, frequenza cardiaca, ripresa del colorito cutaneo”. Proprio sulla base della Carta di Firenze sembrano aver lavorato gli esperti chiamati dal ministero della Salute, anche se essa non viene mai citato direttamente. E mettendo a confronto i due testi si possono apprezzare le differenze, riguardanti principalmente le indicazioni di intervento rispetto alla età gestazionale (tra la ventiduesima e la ventiquattresima settimana; alla venticinquesima i documenti coincidono. Qui il link per un confronto). In altre parole: i medici già oggi di fronte a un nato prematuro se esso presenta segni di vitalità, giudicati sulla base del controllo di alcuni parametri fisiologici, procedono alla rianimazione. E sulla base della pratica clinica e delle statistiche decidono caso per caso se è opportuno continuare con le cure. Opportunità che è via via maggiore mano mano che l’età gestazionale cresce, ovviamente.
Ma allora, qual è il valore aggiunto alla discussione che vuole dare la cosiddetta Carta di Roma? Per alcuni si tratta di un attacco indiretto alla legge sull’interruzione volontaria di gravidanza. Ma se stiamo alla lettera del documento esso non si pone in contraddizione o in violazione della legge 194. All’articolo 7, infatti, si afferma: “Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell’articolo 6 (ovvero nel caso di grave pericolo per la vita della donna) e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto”.
Infine, è bene non sottovalutare i limiti delle tecniche rianimatorie: il 30-35 per cento dei neonati prematuri, di 22, 23 o 24 settimane di gestazione, muore in sala parto; il 45 per cento circa viene sottoposto a cure intensive e muore durante la terapia; la sopravvivenza è del 25 per cento, ma il 95 per cento dei sopravvissuti riporta gravi handicap cerebrali. Decidere se rianimare e destinare un neonato alla terapia intensiva è una decisione complessa che non può essere ridotta meccanicamente alla settimana di gestazione.