Prevenzione, gli screening per il tumore al seno non sono uguali per tutte

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(Foto: Angiola Harry su Unsplash)

Ottobre è il mese dedicato alla prevenzione del tumore al seno, una malattia che si stima colpisca nel corso della propria vita circa una donna su otto, e che causa nel nostro paese circa 56 mila i casi l’anno (dati Aiom-Airtum per il 2023). Da diverse parti, con evidenze più o meno consistenti, sta emergendo una tendenza verso un lieve aumento del numero di casi nelle donne più giovani. Un report dell’American Cancer Society (Acs), per esempio, il mese scorso, oltre a sottolineare i guadagni in termini di mortalità e le enormi disparità etniche del paese, mostrava come nelle donne under 50 tra il 2012 e il 2021 si fosse osservato un aumento dell’1,4% l’anno di tumore, a fronte di una media dell’1% per anno.

Ottimizzare gli screening per la prevenzione del tumore al seno

Perno della prevenzione contro il tumore al seno è infatti l’adesione ai programmi di screening, sottoponendosi ad esami di imaging, primo fra tutti la mammografia, proposta come regola generale una volta ogni due anni dai 50 e fino ai 69 anni. Ma diversi ricercatori ancora oggi, ad anni dalla loro implementazione, cercano di capire come rendere più efficaci questi programmi di prevenzione. Ne parlavano, tra gli altri, pochi mesi fa Caumo e colleghi dalle pagine di Radiologia Medica, potendo l’accento soprattutto sulla loro applicazione nelle popolazioni più giovani, per cui sono presenti a macchia d’olio.

L’epidemiologia della malattia suggerisce infatti di agire anche prima. Ma non c’è solo il fattore epidemiologico a giustificare l’appropriatezza dell’estensione dei programmi di screening: ci sono anche questioni biologiche, riprende Caumo: “Le donne più giovani hanno spesso un seno molto denso, ovvero ricco di stroma e tessuto ghiandolare. Questa caratteristica di per sé influenza il rischio di tumore ma agisce anche come fattore mascherante”, precisa Caumo. Ed è per questo che la ricercatrice, insieme ai colleghi dello Iov, sta portando avanti un progetto di screening mammografico personalizzato rivolto alle donne under 50, con il progetto Ribbs (Risk‑based breast screening).

Nella regione, a differenza di altre sul territorio italiano, non è presente un programma di screening esteso dedicato anche alle più giovani e lo studio Ribbs aiuterà a capire quale sia il modo migliore per allestirlo. “Abbiamo bisogno di dati per comprendere se lo screening per le donne più giovani possa seguire gli stessi criteri applicati per tutte le donne o debba avere qualcosa in più”, puntualizza Caumo.

Il progetto Ribbs per le giovani donne

Il progetto Ribbs mira dunque a capire quale sia la migliore strategia di prevenzione secondaria per le under 50, non solo in termini di efficacia ma anche di fattibilità e sostenibilità. “Gli screening sono strumenti di sanità pubblica, e i loro benefici si hanno se come tali possono offerti a tutta la popolazione eleggibile. In caso contrario, se il progetto non è sostenibile, o ha un impatto solo su una piccola popolazione, non può considerarsi fattibile”.

Il punto di partenza per capire come muoversi, ricordano Caumo e colleghi, sono state le linee guida europee in materia di screening mammografici. Per le donne nella fascia tra i 45 e i 49 anni le raccomandazioni generali (che non considerano il rischio individuale) sono di effettuare una mammografia, in virtù di un rapporto costo-efficacia che “probabilmente” privilegia lo screening, ogni tre o due anni (il livello di certezza in materia è infatti considerato “moderato”). “Abbiamo quindi provato a trasferire queste raccomandazioni nel nostro contesto, stratificando la popolazione target in base al rischio e personalizzando interventi di screening”, riprende Caumo.

Il progetto ha coinvolto in totale 10300 donne di 45 anni in Veneto, che sono state sottoposte a mammografia con tomosintesi come primo esame (digital breast tomosynthesis, Dbt). La tomosintesi, ricorda l’esperta, è un esame particolarmente indicato per analizzare la densità del seno, ed è un tipo di mammografia più dettagliata, che consente di fatto di vedere in 3D la mammella.

Programmi diverse per donne con diversi profili di rischio

Questo primo esame radiografico ha consentito di misurare la densità del seno. Un dato che, insieme al rischio di sviluppare tumore nel corso della propria vita, calcolato a partire da storia personale e familiare delle donne, ha consentito ai ricercatori di dividere la popolazione arruolata in diverse fasce di rischio e di personalizzare i successivi esami di screening. Così, le donne meno a rischio possono proseguire con un esame di tomosintesi ogni due anni, mentre quelle a rischio più elevato sono state indirizzate a tomosintesi più ecografia su base annuale (qui uno schema che ben sintetizza la stratificazione).

“Il progetto terminerà solo alla fine del prossimo anno, ma abbiamo già qualche dato – riprende l’esperta – Oltre ad aver osservato una forte adesione da parte delle donne, di diversa provenienza, abbiamo visto che questo programma di screening, rispetto a uno di controllo [uno screening su donne di 45 anni, sottoposte a mammografia annuale, in Emilia-Romagna, nda ] – riesce a intercettare più tumori ad alto grado e infiltranti”. Un dato importante, sottolinea Caumo, dal momento che uno dei principali rischi dello screening per tumore alla mammella è il problema della sovradiagnosi. “Per ora abbiamo visto lesioni a più alto rischio di evoluzione. Ma è solo alla fine dei cinque anni previsti del progetto potremmo trarre conclusioni e avere un quadro più chiaro della strategia ottimale di screening per le donne più giovani”. Il progetto prevede di seguire queste donne anche una volta terminati i cinque anni, consentendo di valutare l’incidenza dei tumori a distanza di dieci anni dall’iniziale arruolamento, concludono gli esperti.

Via: Wired.it

Credits immagine: Angiola Harry su Unsplash

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