Dalla cima del Cerro Paranal, a 2632 metri sulle Ande cilene, il Very Large Telescope (Vlt) vedrà la sua prima luce il 25 maggio. La data che gli astronomi dell’Eso (European Southern Observatory) attendevano da più di dieci anni è arrivata, e il primo dei quattro telescopi che formano Vlt, chiamato Ut1, entrerà in funzione. Via via seguiranno gli altri, per arrivare nel 2005 al completamento dell’opera: il più grande telescopio ottico del mondo, di paternità esclusivamente europea. Il Vlt funzionerà grazie ai suoi quattro specchi, ognuno del diametro di otto metri, che si comporteranno come un unico strumento dal diametro equivalente di 16 metri. Attualmente il più grande telescopio ottico è lo statunitense Keck, alle Hawaii, che con i suoi due specchi ha un diametro equivalente di 10 metri. Alla base del funzionamento di questi strumenti c’è l’interferometria ottica, cioè la possibilità di combinare i fasci luminosi raccolti da ciascuno specchio in un’unica immagine.
“Si tratta di un traguardo eccezionale per l’Eso, nata dall’unione di otto paesi europei, con l’obiettivo di costruire grandi strumenti astronomici che fossero competitivi a livello mondiale. Qualcosa di analogo al Cern per la ricerca europea in fisica delle particelle”, spiega a Galileo Franco Pacini, uno dei maggiori astronomi italiani, direttore dell’Osservatorio di Arcetri presso Firenze. “Il Vlt non sarà solo più grande di tutti i telescopi esistenti”, prosegue lo scienziato, “si troverà anche in una zona di osservazione eccezionale, che offre 350 notti chiare all’anno, deboli turbolenze atmosferiche e una bassissima umidità. E soprattutto avrà la possibilità di diventare competitivo sul piano della risoluzione. Proprio dal punto di vista della nitidezza, l’interferometria tra i quattro apparecchi che lo compongono e i particolari strumenti collegati al piano focale di ciascuno specchio, renderanno l’insieme equivalente a un oggetto di un centinaio di metri di diametro”.
Altra caratteristica peculiare del Vlt è la cosiddetta ottica adattativa, una tecnologia messa a punto dagli ingegneri dell’Eso e che permette di ridurre il peso degli specchi. La tecnica classica consisteva nell’unire piccoli segmenti di specchio per formare la superficie totale. E’ questo il sistema di Keck, che però non raggiunge una risoluzione angolare paragonabile a quella del Vlt. Ma il problema maggiore è che i grandi specchi rigidi dei telescopi classici devono avere uno spessore pari a circa un sesto del loro diametro. Vale a dire che un oggetto largo 8 metri avrebbe uno spessore di più di un metro, e peserebbe quindi centinaia di tonnellate. Lo specchio di Ut1 pesa invece solo una ventina di tonnellate, grazie al suo spessore di 17 centimetri: è così sottile che è come se si cercasse di fare un telescopio con un foglio di carta. In realtà dietro allo specchio c’è un supporto, una “culla” dotata di 150 pistoni controllati da un computer, che danno la giusta forma alla superficie, adattandola in tempo reale alle perturbazioni dell’atmosfera. E’ la prima volta che si costruisce un telescopio con questo tipo di ottica, che solo recentemente anche gli americani e i giapponesi hanno cominciato a sfruttare per Gemini in Arizona (diametro di 8,1 metri), e Subaru alle Hawaii (8,3 metri).
“Non sappiamo ancora dove Vlt punterà il suo primo occhio”, continua Pacini, “ma è certo che il campo d’azione sarà l’emisfero Sud, e che potrà guardare molto lontano. Infatti i grandi telescopi possono raccogliere molta luce, e quindi sono in grado di vedere oggetti che appaiono più deboli perché più distanti. Questo significa avere osservazioni molto indietro nel tempo. E’ come se un archeologo ricevesse una lettera spedita miliardi di anni fa, e potesse ottenere informazioni relative a quel periodo”. La speranza è di vedere galassie talmente lontane da risalire agli albori dell’universo. L’eccezionale nitidezza permetterà inoltre di vedere i pianeti che circondano le stelle, di cui si hanno prove indirette, ma finora mai osservati. Oppure di scrutare all’interno dei nuclei galattici attivi, attorno agli ipotetici buchi neri. “Le condizioni dell’emisfero Sud sono ottimali per osservare il centro della nostra galassia alto sull’orizzonte, così come le nubi di Magellano, galassie vicine a noi”, spiega ancora Pacini, “ma la cosa veramente interessante è unire queste osservazioni con quelle dall’emisfero Nord. E a questo proposito, un altro telescopio affiancherà nei prossimi anni il Vlt. Si tratta del Large Binocular Telescope (Lbt), un enorme binocolo con due specchi di circa otto metri, per una superficie equivalente di 12 metri. Attualmente l’edificio che lo ospiterà è in fase di costruzione in Arizona. Non si tratta di un progetto dell’Eso ma di una collaborazione tra l’Università dell’Arizona e l’Osservatorio di Arcetri, che porterà al più grande telescopio dell’emisfero Nord”.