A meno di un anno dal suo lancio, avvenuto nel marzo scorso, ben cinque sono gli esopianeti (cioè al di fuori del Sistema Solare) scoperti dal satellite della Nasa Kepler. Sono tutti pianeti cosiddetti “Giove caldi”, a causa delle loro grandi dimensioni, della vicinanza alla stella madre e delle temperature elevate (tra 1200° C e 1650° C, più caldi della lava). Caratteristiche che li rendono decisamente inospitali. Si chiamano, per il momento, Kepler 4b, 5b, 6b, 7b, 8b e orbitano tutti intorno a stelle a loro volta più calde e grandi del Sole.
A valutare i primi risultati di Kepler è William Borucky del Nasa’s Ames Research Center di Moffet Field (California, Usa): “Queste osservazioni ci aiutano a capire meglio come si formano i sistemi solari e come evolvono a partire da gas e polvere cosmica, responsabili dell’origine sia delle stesse sia dei pianeti”.
Grazie al suo telescopio da 1,7 metri di diametro e ai suoi 95 milioni di pixel, Kepler è in grado di osservare continuamente e registrare l’immagine di 150mila corpi celesti contemporaneamente. Per ora, oltre a questi primi cinque esopianeti, il satellite ha individuato e misurato un centinaio di altri possibili pianeti, ma i dati sono ancora in corso di analisi.
La scoperta di questi “Giove caldi” è frutto delle sole prime sei settimane di osservazione, a partire dal 12 maggio scorso, quanto il satellite ha trovato la sua posizione ed è entrato in funzione. “Ci aspettavamo che i primi ad essere individuati fossero pianeti delle dimensioni di Giove, è solo questione di tempo prima che Keplero trovi pianeti sempre più piccoli fino a scoprire il primo simile alla Terra”, ha dichiarato Jon Morse direttore della divisione di Astrofisica del quartier generale della Nasa a Washington.
Il satellite porterà avanti le sue osservazioni fino al novembre 2012, cercando continuamente pianeti con temperature abitabili – dove possa trovarsi acqua liquida sulla superficie – e che orbitino intorno a stelle simili al Sole. “Kepler ci dirà se ci sono altri pianeti che possono ospitare la vita o se invece siamo soli nella nostra galassia”, ha concluso Borucky. (c.v.)
Riferimenti: Nasa