I mutamenti nella situazione mondiale avvenuti nell’ultimo decennio offrono grandi opportunità di progresso nel disarmo nucleare, ma evidenziano anche nuovi pericoli, compreso quel recente incrinarsi del regime internazionale di non proliferazione delle armi nucleari di cui le esplosioni nucleari sperimentali in India e Pakistan sono indizio, nonché il rischio causato dalle enormi e mal custodite quantità di materiali fissili (le “materie prime” per la costruzione di bombe nucleari).
Le responsabilità maggiori perché si rimetta in moto quel disarmo nucleare il cui impetuoso procedere è condizione indispensabile per impedire la proliferazione delle armi nucleari appartengono ovviamente in primis ai paesi militarmente nucleari, ed in particolare ai due maggiori, Russia e Stati Uniti. Ma vi è anche un ruolo per l’Europa, dove fra l’altro sono oggi al potere governi di centro-sinistra nei principali paesi: Germania, Inghilterra, Francia (ancorché “in condominio”), Italia. Questi paesi potrebbero e dovrebbero influire sulle due superpotenze nucleari, Stati Uniti e Russia, affinché, nel loro stesso interesse, e in quello del resto del mondo, tali Stati assumano un atteggiamento più responsabile e attivo. Una tale azione di pressione avrebbe notevoli prospettive di successo, in quanto si inserirebbe – tanto in Russia che negli Stati Uniti – in contesti tutt’altro che monolitici, anzi caratterizzati da forti contrasti fra governo e parlamento – in ambo i casi con parlamenti che, su questa materia, giocano un ruolo di freno, conservatore anzi reazionario.
Progresso è urgente sugli accordi START, per il che si richiede la ratifica dello START-2 da parte della Duma russa, nonché un immediato accordo di principio sullo START-3 (auspicabilmente alla quota di mille testate nucleari strategiche), cui peraltro continua ad ostare la irragionevole pretesa del Congresso Usa, dominato dai repubblicani, che impegna l’Amministrazione Clinton ad escludere qualsivoglia discussione, anche informale, con i russi sul contenuto di un eventuale START-3, prima che la Duma abbia ratificato lo START-2 (sebbene una tale discussione potrebbe facilitare tale ratifica).
E’ anche urgente che le armi nucleari strategiche vengano tutte “de-allertate”, cioè che se ne escluda ogni uso con tempi di reazione rapidissimi (minuti). Ciò andrebbe fatto al più presto, anche mediante iniziative unilaterali, motivate da ovvi motivi di sicurezza, nonché dalla evidente irragionevolezza di uno schieramento di vettori nucleari, non più controllabili dopo il lancio e pronti a produrre effetti catastrofici nel giro di minuti, in un contesto internazionale “senza nemici”.
E vi è infine il rischio gravissimo dovuto alle enormi quantità di materiali fissili mal custoditi, sul quale torneremo ancora alla fine di questo articolo.E’ peraltro ovvio che, tanto la riduzione di armi strategiche nel contesto START che il ridimensionamento dello stato di allerta dei vettori di testate nucleari, sono passi che riguardano in primis le due superpotenze nucleari, Russia e Stati Uniti, rispetto ai quali dunque l’influenza di altri paesi può avere solo effetti secondari (ancorché potenzialmente alquanto rilevanti, per i motivi prima ricordati).
E’ pertanto importante concentrare l’ attenzione su quegli aspetti del nucleare militare che toccano più direttamente l’Europa, sui quali è più naturale si attivino – anzitutto in ambito NATO – i paesi europei occidentali, ed in particolare l’Italia.
Qui indicherei tre iniziative come prioritarie:
1. La creazione di una zona libera dalle armi nucleari nell’Europa centrale ed orientale, che potrebbe/dovrebbe comprendere i 3 Stati baltici (Estonia, Lettonia, Lituania), i 3 nuovi membri della NATO (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria), la Slovacchia, 3 repubbliche ex-sovietiche (Bielorussia, Moldavia, Ucraina), la Romania e la Bulgaria: in tutto 12 Stati, che costituiscono complessivamente una larga fascia che, senza soluzione di continuità, va dal Mar Baltico al Mar Nero e separa la Russia dall’Europa occidentale.
In questa zona non sono ora schierate armi nucleari, e non vi è nessuno che intenda schierarvele nel futuro: né la Russia, né la NATO. Si tratterebbe dunque di trasformare in impegno de iure, liberamente contratto da tali 12 Paesi e riconosciuto dal resto del mondo ed in particolare dai paesi militarmente nucleari, una situazione de facto già solidamente affermata. Nondimeno tale sviluppo – che dovrebbe lasciare del tutto impregiudicata l’appartenenza alla NATO di Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria, come anche l’eventuale ingresso nella NATO di altri paesi di tale zona – avrebbe un effetto assai positivo da molti punti di vista, non ultimo quello di diminuire l’impatto negativo sulla Russia del processo di “allargamento verso Est” della NATO.
L’opposizione alla creazione di una tale zona libera dalle armi nucleari non viene dagli Stati Uniti né dalla NATO, ma piuttosto dai paesi appena ammessi nella NATO (in particolare dalla Polonia), e forse da altri paesi dell’Europa centro-orientale, preoccupati che una loro appartenenza ad una tale zona denuclearizzata possa diminuire le loro future prospettive di ingresso nella NATO. Ma questa informazione, pur pervenendomi da fonti autorevoli e credibili, mi risulta poco convincente, o quantomeno non tale da evidenziare una difficoltà insuperabile. Mi sembra infatti che eventuali obiezioni della Polonia o di altri paesi verrebbero facilmente superate ove fosse chiaro che sia gli Stati Uniti che la NATO sono nettamente favorevoli ad un tale sviluppo, e che in ambito NATO la appartenenza ad una zona denuclearizzata non comporterebbe alcuna discriminazione, anzi favorirebbe la presenza in ogni organo di pianificazione strategica, compresi quelli in cui si prende in considerazione la componente nucleare (Nuclear Planning Group).
2. Mi sembra che sia finalmente maturo il completo ritiro, al territorio degli Stati Uniti, delle poche bombe nucleari americane ancora presenti in alcuni paesi NATO, Italia compresa.
Da un massimo di circa 7.000 testate nucleari “tattiche”, di molti diversi tipi (missili a breve e media gittata, proiettili di artiglieria, mine, bombe aviotrasportate), caratteristico degli anni della Guerra fredda in cui un eventuale uso delle armi nucleari giocava un ruolo essenziale nella strategia NATO, si è ora scesi ad una presenza “simbolica” di 100-200 bombe nucleari aviotrasportate, che la attuale strategia NATO considera sostanzialmente inutili: l’arma nucleare è ora definita “risorsa estrema”; ma a tal fine può ipotizzarsi l’impiego (pur sempre dissuasivo) dei missili strategici basati su sommergibili (SLBM) o al suolo (ICBM) negli Stati Uniti, la cui precisione è fra l’altro venuta aumentando col passare degli anni.
Il ritiro completo delle armi nucleari stazionate in Europa – che è, beninteso, cosa diversa dalla creazione formale di una zona denuclearizzata – oltre ad esser oggi giustificato da esigenze operative ed economiche (la presenza di tali armi è un intralcio, per tutte le norme di sicurezza che comporta, ed un’inutile spesa), significherebbe l’instaurazione, di fatto se non di diritto, di una norma assai auspicabile, secondo cui le armi nucleari sono basate solo nei paesi militarmente nucleari (le armi americane nei paesi NATO costituiscono oggi l’unica violazione di tale norma).
Non è chiaro chi si opponga oggi a questo passo, che logica vorrebbe fosse visto con favore da tutti, in particolare sia dagli Stati Uniti che da tutti i paesi NATO; tanto più se venisse ribadito che la fine della presenza di armi nucleari in un paese della NATO non implica alcuna diminuzione del ruolo di tale paese nell’influenzare le scelte strategiche dell’Alleanza Atlantica, anche nel settore nucleare.
Su questo argomento un’iniziativa dell’Italia, magari congiuntamente con la Germania ed altri paesi NATO sul cui territorio stazionano armi nucleari americane, sarebbe assai opportuna.
3. Uno sviluppo auspicabile sarebbe l’adozione da parte della NATO di una dottrina che escluda l’uso per primi di armi nucleari (“no first use”), che assegni cioè alle armi nucleari il compito esclusivo di dissuadere l’uso altrui di armi nucleari.La desiderabilità di una svolta di questo tipo è stata recentemente ventilata dal Ministro degli Esteri tedesco, il quale ha poi dovuto far marcia indietro di fronte ad una negativa reazione americana – per la verità alquanto sorprendente, quantomeno nella sua virulenza, dal momento che uno sviluppo di questo tipo, come anche le altre due iniziative summenzionate, sono oggi raccomandati anche da autorevolissimi ambienti americani semi-ufficiali, per esempio dal recente Rapporto sul futuro delle armi nucleari americane unanimamente approvato dal Comitato permanente sulla Sicurezza Internazionale ed il Controllo degli Armamenti (CISAC) dell’Accademia Nazionale delle Scienze (NAS) statunitense. E’ inoltre ben noto che uno sviluppo di questo tipo è fortemente appoggiato dall’opinione pubblica americana, anzi risulta da vari sondaggi che una maggioranza dei cittadini americani ritiene che una siffatta politica di “non primo uso” delle armi nucleari costituisca già oggi la dottrina strategica ufficiale degli Stati Uniti.
Un’iniziativa dell’Italia a sostegno di questa tesi in ambito NATO – preferibilmente insieme ad altri paesi, per esempio Germania e Canada (e probabilmente vari altri aderirebbero con entusiasmo) – sarebbe assai auspicabile. Si tratta di una scelta che, oltre ad avere oggi solidissime giustificazione strategiche, ha anche una evidente dimensione etica. A questo proposito è forse opportuno ricordare la nettissima presa di posizione contraria alle armi nucleari assunta pubblicamente, nel giugno 1998, da numerosi vescovi cattolici degli Stati Uniti.
Infine l’Europa potrebbe e dovrebbe avere un ruolo maggiore – ed esser disposta ad investire congrui fondi – rispetto al rischio gravissimo che le materie prime essenziali per la costruzione di bombe nucleari vengano trafugate e clandestinamente esportate dalla Russia. Il pericolo maggiore nasce dalle enormi quantità, esistenti in Russia e non tutte ben custodite, di Uranio altamente arricchito nell’isotopo 235 (HEU – Highly Enriched Uranium) – il materiale che rende facile la costruzione di una bomba nucleare anche ad un piccolo gruppo di terroristi. Questo rischio potrebbe esser sostanzialmente ridotto mediante un apposito stanziamento di fondi per acquistare HEU in Russia e trasformarlo in LEU (Low Enriched Uranium, Uranio debolmente arricchito, utilizzabile per la produzione di energia elettrica ma non più per la produzione di bombe), effettuando in tal modo un’operazione analoga e parallela a quella in corso fra Russia e Stati Uniti, la quale peraltro, per la mancata disponibilità del Congresso americano a stanziare fondi adeguati, sta procedendo con una lentezza del tutto inadeguata rispetto alla gravità del pericolo, e rischia addirittura di arenarsi del tutto. Fra l’altro, un tale stanziamento da parte dell’Europa non darebbe luogo a quella inutile dispersione di sovvenzioni per mille rivi, tipica di altre forme di intervento in una realtà russa caratterizzata da diffusissima inefficienza e rampante corruzione – perché si tratterebbe di un vero e proprio acquisto: denaro in cambio di merci (seppure con l’ulteriore speranza che un tale flusso di fondi possa inoltre servire a rafforzare il sistema custodiale russo di armi e materiali nucleari).
Più che per l’Italia, appare evidente qui un ruolo per l’Europa nel suo complesso – ma il nostro paese potrebbe ben farsi parte diligente affinché la Comunità Europea affronti con la necessaria urgenza questo pericolo gravissimo.