Nella lotta al virus ebola c’è una nuova speranza: è la proteina RBBP6. I ricercatori hanno scoperto che la proteina RBBP6 interferisce con il processo di trascrizione del virus, ossia con uno dei passaggi fondamentali per la sua replicazione. È una rivelazione che potrebbe condurre allo sviluppo di nuove terapie: la speranza è quella di riuscire a individuare una molecola che riproduca il comportamento della proteina bloccando così l’espansione del virus. A d annunciare la scoperta è uno studio frutto della collaborazione tra Northwestern University, Georgia State University e University of California, pubblicato sulla rivista Cell.
La chiave per fermare la replicazione
Studiando quali interazioni intercorrono tra le proteine del virus e quelle presenti nelle cellule umane, gli scienziati hanno notato che RBBP6 è in grado di legarsi alla proteina virale VP30, bloccandone il funzionamento. Così facendo la proteina umana finisce per ostacolare la replicazione di ebola: VP30, infatti, è una delle componenti essenziali perché abbia inizio la trascrizione, ossia la lettura delle informazioni genetiche necessarie a produrre nuove copie del patogeno.
Indagando su questa interazione, i ricercatori hanno verificato che la replicazione di ebola era più rapida in assenza di RBBP6 mentre si inibiva se la proteina era sovrabbondante. “Si tratta di un’interazione chiave. Resta da capire se saremo in grado di riprodurla con un farmaco in modo da sviluppare una terapia efficace”, ha commentato Nevan Krogan, leader del gruppo che ha condotto lo studio. “Quello che abbiamo in mente è un piccolo farmaco molecolare che imiti questa proteina e possa essere usato nel caso di un’epidemia di ebola”, ha aggiunto Judd Hultquist, co-autore della ricerca. “Uno degli aspetti più terribili dell’epidemia del 2014 è stata l’assenza di trattamenti da usare nell’immediato; migliaia di persone sono morte perché non c’era una cura adeguata”.
Ebola e la sua diffusione
Appartengono al genere ebola almeno cinque specie diverse di virus, di cui la più letale è lo zaire ebolavirus, descritto per la prima volta nel 1976. Si tratta di virus filiformi che causano febbri emorragiche con un tasso di mortalità media del 50%. A rendere questi virus così insidiosi sono due fattori diversi: la semplicità con cui si trasmettono da umano a umano e l’assenza di sintomi specifici nelle prime fasi di sviluppo della patologia, che rende l’ebola facilmente confondibile con altri tipi di infezione. Per contrarre la malattia basta entrare in contatto con il sangue e i fluidi corporei dei soggetti infetti (sudore, sperma o altre mucose) oppure con oggetti da questi contaminati (lenzuola e vestiti, principalmente).
L’endemia del triennio 2014-2016 rimane la peggiore nella storia di Ebola: 28.000 infezioni, 11.000 morti circa. E oltre 500 persone circa sono decedute per un focolaio divampato nella Repubblica Democratica del Congo, tutt’ora in corso.
Oggi, accanto alle cure sintomatiche è disponibile un vaccino (rVSV-ZEBOV), considerato ancora sperimentale ma somministrato in caso d’emergenza, così come i farmaci non ancora registrati, per i quali è appena partita una sperimentazione. Percorrere nuove strade, come le ricerche sulla RBBP6, è fondamentale per sperare di avere sempre più armi efficaci con cui combattere il virus.
Riferimenti: Cell
Credits immagine: Northwestern University
News redatta nell’ambito del Master della Comunicazione della Scienza “Franco Prattico”