Proteine impossibili, la sfida della Nobel Arnold raccontata da Pievani

proteine
(Foto di ANIRUDH su Unsplash)

E’ ormai noto come sequenze di nucleotidi nel DNA contengano informazione per la sintesi delle proteine necessarie alla vita di piante, animali, uomini. Ma nei miliardi di anni dell’evoluzione della vita – suggeriva fin dal 1970 il biologo genetista Maynard Smith – non sono state sperimentate tutte le possibili combinazioni di nucleotidi capaci di dare origine a proteine, e molte sequenze corrispondenti a proteine non sono ancora comparse nell’evoluzione delle specie.

Una ricerca da Nobel

Telmo Pievani Tutti i mondi possibili. Un’avventura nella grande biblioteca dell’evoluzione Raffaello Cortina Editore, 2024 Pp. 189, € 15,00

Stimolata da questa osservazione Frances H. Arnold, scienziata statunitense laureata in ingegneria meccanica e aerospaziale, ha orientato la sua ricerca sulla possibilità di sintetizzare proteine con nuove funzioni e nuove proprietà, mai esistite sulla Terra, e i suoi risultati hanno meritato il premio Nobel per la Chimica nel 2018. Telmo Pievani, che insegna Filosofia delle scienze biologiche all’Università di Padova, racconta proprio la storia di questa conquista, integrando nel suo libro presupposti teorici con la sperimentazione tecnico-scientifica e con i dati biografici della giovane scienziata.

Tutti i libri possibili

La genetica evoluzionista affermava con chiarezza che le mutazioni sul DNA permettono di sintetizzare proteine con effetti imprevedibili sull’organismo, cioè con conseguenze positive, negative o neutre, ed è il processo selettivo che ne permette o meno la diffusione nelle generazioni. È tuttavia possibile immaginare teoricamente una biblioteca sterminata, che comprenda tutte le proteine possibili, anche quelle mai realizzate: Pievani propone quindi una sorta di analogia tra questa biblioteca ipotetica e la biblioteca di Babele, altrettanto ipotetica, immaginata da Borges. Certo, le differenze sono sostanziali, anche perché la biblioteca di Borges è statica, mentre quella delle proteine è strutturalmente dinamica. La prima contiene infatti tutti i libri possibili, diversi anche per un solo carattere dal volume vicino, tutti con lo stesso preciso numero di pagine, tutti eternamente fissati nella loro – spesso introvabile – collocazione. La biblioteca-proteine, che certamente dipende da una biblioteca-genomi, è invece una biblioteca in continuo cambiamento: i libri si scambiano pezzi, si strappano reciprocamente pagine, rimescolano i contenuti (il sesso!), in un ambiente che a volte li trova illeggibili, ne cancella pezzi, ne copia una stessa frase decine di volte, ne esplicita il significato in corpi vivi, capaci di riprodursi e di morire. I testi si modificano nel tempo, i libri non sono mai gli stessi, e il significato cambia a seconda del lettore che ne fruisce. Infatti, i libri-genomi evolvono e nell’evoluzione è l’ambiente nelle sue continue trasformazioni che dà i permessi di vivere, che accetta o rifiuta, che concede una esistenza più o meno facile o più o meno stentata a seconda del significato complessivo del messaggio e del modo in cui viene letto, tanto che una stessa proteina può svolgere funzioni diverse nell’organismo o cambiarle nel percorso evolutivo.

Evoluzione direzionata

Inoltre, l’insieme dei vari libri-proteine determina una sorta di controllo reciproco sulle proteine espresse, che possono funzionare solo se… altre svolgono determinate funzioni, in maniera organica e coordinata. La complessità dinamica della vita modifica in natura il messaggio genetico condizionato dalla sopravvivenza, ma studiandone le possibili modificazioni Arnold pensa che in laboratorio sia possibile realizzare in vitro una evoluzione direzionata, capace di produrre proteine nuove, che non si trovano nei viventi ma che possono funzionare enzimaticamente su determinati substrati, in condizioni costruite appositamente.

Costruire proteine nuove

Facendo questo, cioè modificando gradualmente in vitro l’informazione codificata, Frances Arnold è riuscita a costruire proteine capaci di funzioni nuove e inusuali, introducendo progressivamente mutazioni casuali in geni specifici e testando di volta in volta i risultati ottenuti. Gli enzimi mutati sono fatti evolvere artificialmente in laboratorio, in modo da “migliorare” e presentare caratteristiche via via più vantaggiose e sorprendenti.  In laboratorio, la biologia impara a riconoscere e a costruire sostanze che sarebbero potute esistere ma che non sono mai comparse nell’evoluzione. Pievani descrive come filosofi e scienziati abbiano provato a rappresentare in spazi astratti il modo in cui questi vengono riempiti sia dalle forme che sono effettivamente comparse nel tempo dei viventi sia da forme mai realizzate, notando che in questo morfospazio si troverebbero molte zone vuote, dei buchi non occupati da possibili viventi mai vissuti. Nel morfospazio delle proteine, invece, la tecnologia inventata da Arnold si propone di occupare i buchi costruendo proteine mai realizzate tra i viventi.

Le citazioni da Calvino

Il libro si conclude con ampie citazioni dai libri di Calvino, che nell’ultimo racconto delle Cosmicomiche mette in evidenza due ipotesi plausibili che possono facilmente applicarsi alla ricerca di Arnold: la realtà non ha assunto tutte le forme possibili, sia per un qualche motivo occasionale storicamente determinato, sia per una incompatibilità di fondo, per vincoli che limitano certe potenzialità e ne sviluppano altre. Ma in conclusione, studiare ciò che non esiste, capire perché non esiste e provare comunque a realizzarlo, può sempre far comprendere qualcosa di importante su ciò che esiste o che è esistito.

Foto di ANIRUDH su Unsplash