“Suo figlio non sta attento durante le lezioni, ogni volta che gli viene chiesto di continuare la lettura dopo un suo compagno, non è preparato a farlo. Dice di aver appena perso il filo, ma anche quando gli viene richiesto di ritrovarlo ha difficoltà a riprova della scarsa attenzione”. Questa è solo una delle possibili note sul diario che si potrebbe trovare una mamma di un figlio dislessico. E potrebbe anche succedere, a fine terza media, di vedersi recapitare un “piccolo e gentile” suggerimento di tenere a casa il proprio figlio durante le prove Invalsi (in programma per oggi, 19 giugno). Ma è davvero possibile, o meglio, è un comportamento legittimo?
L’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo di istruzione e formazione il 7 aprile 2014 ha pubblicato una nota esplicativa sullo svolgimento delle prove nazionali per gli alunni con Bes (Bisogni educativi speciali). In essa si chiarisce che qualunque sia la tipologia di disabilità o di Disturbo specifico di apprendimento (Dsa), questa deve essere segnalata sulla maschera elettronica per l’inserimento delle risposte dello studente. Tale segnalazione consentirà di considerare separatamente i risultati degli alunni con Bes e di non farli rientrare nell’elaborazione statistica dei risultati di tutti gli altri alunni, ma non c’è alcuna menzione di un’esclusione a priori.
Il Dirigente scolastico però ha effettivamente la possibilità di non far partecipare a una o a tutte le prove Invalsi gli alunni con disabilità intellettiva, ma dovrebbe impegnarli nei giorni delle prove in un’altra attività, e non lasciarli a casa. In alternativa può fare partecipare a una o a tutte le prove Invalsi gli allievi con disabilità intellettiva insieme agli altri studenti della classe. Per gli studenti con Dsa, la scuole devono valutare ogni situazione, per individuare la soluzione che meglio si adatti ai disturbi specifici: sono ammessi strumenti dispensativi e misure compensative purché non si modifichino le condizioni di somministrazione. Non è pertanto possibile la lettura ad alta voce, né la presenza dell’insegnante di sostegno, ma, se sono state richieste dalla scuola all’atto dell’iscrizione al Sistema nazionale di valutazione i ragazzi possono avvalersi delle prove in formato audio (A.S. 2013-14 -Bisogni educativi speciali. Documento pubblicato il 7.04.2014).
Gia in precedenti norme Ministeriali più generiche si è decretato che ottenuta la diagnosi si possono mettere in atto aiuti specifici, tecniche di riabilitazione e di compenso, nonché alcuni semplici provvedimenti di modifica della didattica a favore dei ragazzi dislessici contenute nelle direttive Ministeriali (Prot. n. 4099/A/4), come ad esempio la concessione di tempi più lunghi per lo svolgimento di compiti, l’uso della calcolatrice e del computer. E che tali provvedimenti devono poter essere utilizzati poi anche nei momenti di valutazione, compresi gli esami di stato.
Tutto questo perché è importante che il bambino riceva un adeguato supporto nel percorso scolastico, che tenga conto delle sue difficoltà e che può derivare soprattutto da una efficace collaborazione tra scuola, famiglia e operatore sanitario. Nelle circolari è indicato l’obbligo da parte delle istituzioni scolastiche di predisporre un percorso didattico personalizzato (Pdp) nei confronti di tutti gli alunni con diagnosi specialistica di Dsa, che preveda l’uso di strumenti dispensativi e compensativi, mentre alcune attività scolastiche devono essere tralasciate (per esempio lettura ad alta voce o dettato veloce). Inoltre l’insegnante è tenuto a riconoscere e accogliere la “diversità” parlandone apertamente alla classe nonché collaborare attivamente con i colleghi per garantire risposte coerenti al problema e comunicare costantemente con i genitori.
Perché allora la richiesta di lasciare i ragazzi a casa? Gli insegnanti dovrebbero essere i primi, e non solo in quanto indotti dalle normative, a includere questi allievi anziché escluderli.
Martina Ozbič dell’Università di Lubiana è convinta che ci sia impreparazione di fronte a questo problema nel corpo docenti. Secondo la logopedista dovrebbe essere il Ministero “a fornire formazione per tutte queste aree – e non solo per la dislessia – e aumentare il numero di ore per lo studio dell’elaborazione del linguaggio e dell’alfabetizzazione dei bambini con bisogni educativi speciali. Molto spesso”, continua la Ozbič, “gli insegnanti sono semplicemente spaventati, per questo non aderiscono all’iniziativa. Sono scettici perché a volte i genitori si convincono che il loro bambino sia dislessico ancor prima di una vera diagnosi.”
Le prove Invalsi sostenute dagli allievi con Bes, dunque, non rientrano nelle rilevazioni statistiche dei risultati di tutti gli altri alunni. Tuttavia, sarebbe auspicabile individuare alcuni criteri generali per valutare la qualità dell’inclusione realizzata nelle singole scuole.
Credits immagine: mrpetersononline/Flickr