Il neuroblastoma è uno dei più temibili tumori che colpiscono i bambini. A cui i ricercatori dell’Istituto Giannina Gaslini di Genova hanno sferzato un duro attacco: hanno identificato infatti una proteina che rende le cellule tumorali attaccabili dalle difese naturali dell’organismo. Una specie di bersaglio che segnala alle cellule killer, quelle che l’organismo umano usa per eliminare i “corpi estranei”, dove colpire. Aprendo così la strada per un futuro sviluppo di una terapia immunologia per questo tipo di cancro. Il neuroblastoma è una forma tumorale che colpisce le cellule nervose dei gangli simpatici, ai lati della colonna vertebrale. Può colpire soprattutto la ghiandola surrenale, presentandosi come una tumefazione addominale, e i gangli simpatici paraspinali, e in questo caso può comparire in qualsiasi tratto della colonna vertebrale. Le metastasi sono purtroppo frequenti, e colpiscono le ossa, i linfonodi, il fegato e il midollo osseo. Il neuroblastoma colpisce tra i sei e i dieci bambini sotto i 15 anni per milione, che significa circa 30 nuovi casi l’anno in Italia, ed è il tumore solido più frequente in età infantile. Nei casi più gravi, con metastasi, la sopravvivenza a 3 anni non supera il 30 per cento. Attualmente la terapia prevede soprattutto chemioterapia, e spesso comprende anche un autotrapianto di midollo osseo, che si preleva dal paziente durante le fasi di remissione e si impianta durante le fasi di recidiva per limitare i danni causati dalla chemioterapia stessa. “Noi abbiamo individuato una proteina, presente sulla superficie esterna delle cellule tumorali, chiamata PVR, che serve come bersaglio per le cellule killer, quelle che attaccano e distruggono le cellule malate”, spiega Lorenzo Moretta, direttore scientifico del Gaslini. Questa proteina non è espressa da tutti i neuroblastomi ma solo da alcuni, e solo le cellule dei tumori PVR positivi vengono aggredite dalle cellule killer che hanno i recettori adatti, come i ricercatori hanno verificato in vitro. La scoperta potrebbe, in un futuro ancora piuttosto lontano, servire come base per una immunoterapia contro questo tumore. “Nei casi in cui la PVR è espressa, si può fatti ipotizzare di espandere in vitro le cellule killer, o trapiantarle da un donatore compatibile e potenziare così la risposta al tumore” prosegue MorettaLo studio è stato curato in particolare da Roberta Castriconi e Cristina Bottino ed è stato pubblicato sulla rivista “Cancer Research” in dicembre. In precedenza, il gruppo del Gaslini aveva raggiunto altri risultati altrettanto importanti nella lotta a questo tumore. “Per ragioni che non abbiamo ancora del tutto compreso”, spiega Moretta, “se il neuroblastoma viene diagnosticato durante il primo anno di vita, allora il paziente ha una buona aspettativa di vita. Se invece compare più avanti, la percentuale di mortalità è molto elevata. Per questo è molto importante trovare degli strumenti che permettano una diagnosi il più precoce possibile. Poiché la maggior parte (circa i due terzi) delle ricadute si hanno nel midollo osseo, abbiamo cercato e individuato una proteina, espressa dalle cellule di tutti i neuroblastomi, che identifica la presenza di cellule malate nel midollo osseo”. La proteina in questione si chiama B7H3, e poiché è espressa dalle cellule di tutti i neuroblastomi, e non solo di alcuni come nel caso della stessa PVR, è il primo marcatore assoluto della malattia individuato. Queste ricerche nascono da un programma di ricerca clinica in corso all’istituto Gaslini sui tumori infantili. Oltre al grande sforzo dedicato al neuroblastoma, i ricercatori lavorano molto sulle cellule killer di altri tumori pediatrici, in particolare le leucemie acute. Anche qui l’obbiettivo è capire quali di questi tumori siano attaccabili dalle difese naturali dell’organismo e quali no, per tentare approcci terapeutici più efficaci della chemioterapia e con minori effetti collaterali, particolarmente pesanti da sopportare in età pediatrica.