Un bel disegno può fare miracoli nel comunicare il vero significato di una ricerca scientifica. Ma nelle nostre università sono in pochi a crederci: non si trovano facilmente, infatti, scienziati disposti ad abbandonare grafici, tabelle e fotografie per affidare i loro testi nelle mani di un artista. E fanno male, sostiene Roberto Danovaro professore di Ecologia dell’Università di Ancona, che ha contattato l’illustratore Mirco Tangherlini con il dichiarato intento di tradurre in immagini pagine e pagine di dati, esperimenti e dimostrazioni. La collaborazione è stata premiata con una copertina su Nature lo scorso 28 agosto. Una conquista non da poco se si pensa ai rigidi criteri con cui la prestigiosa rivista sceglie ogni settimana come presentarsi ai propri lettori. “L’illustrazione di copertina deve riuscire contemporaneamente a catturare lo sguardo e a fornire un’immagine immediata del contenuto dell’articolo. E deve suscitare la giusta reazione emotiva, oltre a essere fedele al messaggio scientifico. Inoltre deve differenziarsi molto dalla copertina del numero precedente e riferirsi a uno degli articoli più significativi del numero”, spiega Alison Abbott caporedattore della redazione europea di Nature.
Se non ci fosse l’inconfondibile logo della testata ad allontanare ogni dubbio, il disegno di Tangherlini potrebbe tranquillamente descrivere un’astronave assalita da una moltitudine di piccoli ma violentissimi alieni. Non di questo si tratta, ovviamente, ma di un batterio attaccato e frantumato dai numerosi virus che popolano gli abissi marini. L’originalità della ricerca di Danovaro e della sua equipe sta proprio nell’aver individuato il processo che regolamenta gli ecosistemi marini profondi: una vera e propria guerra tra virus e microorganismi, carnefici i primi e vittime i secondi. Una volta uccisa, la minuscola “preda” rilascia nell’ambiente il proprio materiale cellulare che viene riusato da altri batteri. E così via, con ripercussioni su scala globale.
“E’ un po’ quello che avviene nella savana tra leoni e gazzelle: nel nostro caso i virus sono i leoni e i batteri le gazzelle”, spiega Danovaro, convinto che solo un’immagine così articolata come il disegno di Tangherlini possa rendere giustizia alla complessità dell’argomento. “Una fotografia avrebbe potuto ritrarre solo la forma di un virus, che ha dimensioni di un decimillesimo di millimetro”, dice Danovaro, “ma così sarebbe sfuggito il senso profondo del processo che abbiamo studiato, quella lotta senza quartiere che ha come teatro gli abissi del mare”.
In Italia gli illustratori scientifici sono davvero pochi. “Colpa del disinteresse generale per la cultura scientifica”, aggiunge Danovaro. “Negli Stati Uniti, per esempio, le cose sono diverse: i testi che mi sono stati commissionati dall’Università del North Carolina sono stati illustrati da professionisti esperti della stessa università”.
Neanche Tangherlini, che si è formato alla scuola di disegno anatomico di Bologna e che illustra le pagine dedicate alle scienze di molte testate italiane (Panorama, Corriere della Sera), se la sente di definirsi “disegnatore scientifico”: “Non esiste una formazione professionale specifica nel campo dell’illustrazione scientifica. Oltretutto se facessi solo quello in Italia lavorerei pochissimo”. Impossibile, infatti, competere con la popolarità di tabelle, grafici e schemini, e anche quando l’articolo è destinato a riviste internazionali la veste grafica difficilmente va oltre a qualche istogramma e a fotografie di scarsa qualità.
Eppure ci sono argomenti che vanno a braccetto con matita e colori (virtuali, visto che i disegni sono realizzati al computer): l’anatomia per prima, ma anche la biologia, la zoologia, la botanica o l’astronomia. Escluse dalle pubblicazioni scientifiche, queste illustrazioni invece sono bene accolte nei manuali universitari. “Un tempo agli scienziati, da Aristotele a Linneo, veniva insegnato a disegnare. Perché nel ricostruire l’immagine di un pesce o di una parte del corpo umano si otteneva una conoscenza immediata dei dettagli”, dice Danovaro.
Lo sanno bene illustratori come Tangherlini che hanno appreso a disegnare manualmente quando ancora non si faceva uso di computer, dosando in maniera assai precisa anche i colori. “Per il muscolo umano era permesso usare solo un particolare punto di magenta. Questo tipo di formazione permette di mantenere un’attenzione meticolosa nel curare i dettagli”. Ma ci sono altri casi in cui ricorrere alla matita è quasi d’obbligo: “Per illustrare il processo che avviene all’interno di un atomo, o per descrivere la catena di interazioni simultanee sulla superficie di una molecola è necessario affidarsi ad un disegno”, dice Alison Abbott. Insomma la scienza, se vuole, sa come sedurre un’artista.