L’11 marzo 2011 è legato in modo indissolubile alla centrale nucleare di Fukushima Daichi. Quel giorno, a seguito di un forte terremoto, uno tsunami investiva l’impianto situato sulla costa giapponese. Successivamente, le nubi radioattive che scaturirono dai reattori fuori controllo imposero l’evacuazione della popolazione nel raggio di 20-60 km. Ora, a due anni di distanza, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha pubblicato uno studio che valuta le conseguenze del disastro sulla salute umana.
Secondo il testo diffuso dall’Oms, i contaminanti radioattivi diffusi nell’ambiente porteranno a un lieve incremento del rischio di tumori nella popolazione. Il fenomeno riguarderebbe solo gli abitanti della prefettura di Fukushima, una delle zone più colpite dalle nubi radioattive. In base ai modelli di misurazione, è stato calcolato che nel primo anno dopo l’incidente le persone sono state esposte a dosi comprese tra 12 e 25 millisievert (mSv).
Gli scienziati hanno dunque valutato l’incidenza di leucemia, tumore al seno, alla tiroide e in altre forme solide per tre fasce d’età (individui di 1, 10 e 20 anni).
I dati sulla popolazione
Nello specifico, i casi di leucemia potrebbero crescere del 7% durante il corso dell’intera vita in maschi esposti in età infantile; il tumore al seno del 6% per le bambine; i tumori solidi del 4% nelle ragazze; il cancro alla tiroide fino al 70%, sempre in soggetti di sesso femminile che all’epoca dell’incidente avevano 10 anni. Si tratta di stime calcolate rispetto ai tassi naturali di incidenza dei tumori nella popolazione e, pertanto, non definiscono un rischio assoluto di contrarre il cancro. Per esempio, il rischio naturale di cancro alla tiroide si assesta intorno allo 0,75%. Di conseguenza, gli effetti di Fukushima lo innalzerebbero del 0,52%.
Le stime precedenti si applicano, come detto prima, solo alla prefettura di Fukushima, ovvero la zona più colpita dal fallout radioattivo. Per gli abitanti delle aree limitrofe, il rischio addizionale di contrarre un tumore – sempre rispetto all’incidenza base – è ridotto della metà. Nelle zone ancora più lontane, dove le persone sono state esposte a 3-5 mSv annui, i rischi addizionali scendono a un quarto, massimo un terzo, di quelli registrati nei dintorni della centrale nucleare.
Il rischio per i lavoratori
Il report dell’Oms ha valutato anche l’entità delle dosi di radiazioni assorbite dai 20mila lavoratori che hanno condotto le operazioni di messa in sicurezza all’interno della centrale. Secondo le stime fornite dalla Tepco, il 66% dei tecnici sarebbe stato esposto a meno di 10 mSv annui, mentre per il 30% di loro i livelli salirebbero fino a 50 mSv. Per l’ultimo 4% si parla di dosi superiori ai 50-100 mSv, con punte di 250 mSv in alcuni casi. Questi dati avevano già suscitato non poche preoccupazioni durante il primo anno di intervento a Fukushima. Infatti, circa 17mila dei lavoratori chiamati per la messa in sicurezza dell’impianto provenivano da ditte appaltatrici esterne (Vedi Galileo: Le bistecche radioattive di Fukushima), e spesso non ricevevano una adeguata preparazione.
In ogni caso, sono stati i tecnici che lavoravano per Tepco a ricevere le dosi più alte di radiazioni in assoluto. Ma per calcolare il reale impatto dell’incidente di Fukushima non basta analizzare i singoli casi di chi ha vissuto o lavorato nei pressi della centrale nucleare. Piuttosto, è molto probabile che l’eredità del disastro si manifesterà su una scala molto più vasta (Vedi Galileo: Calcolate le conseguenze di Fukushima). Gli elementi radioattivi concentrati nel suolo e nell’Oceano potrebbero sortire degli effetti nocivi anche a distanza di molto tempo, proprio per l’effetto del bioaccumulo.
C’è poi un altro aspetto cruciale, quello dell’efficacia dei piani di evacuazione nel caso disastri simili si possano ripetere. “Le conseguenze sulla salute di questo incidente sono inferiori rispetto a quelle di Chernobyl” ha detto a Nature Keith Baverstock, radiobiologo della University of Eastern Finland “il perché è dovuto ai venti molto favorevoli che spiravano verso l’Oceano pacifico, e al fatto che non c’erano centri abitati nelle vicinanze. Se il vento avesse spirato verso Tokyo, Fukushima sarebbe stata una storia completamente diversa”.
Credits immagine: IAEA Imagebank/Flickr