Nella scienza c’è solo un modo per verificare se una teoria è giusta: metterla alla prova. Ed è quanto ha fatto Jacqueline Finch dell’Università di Manchester, che in un test ha mostrato come alcune antiche dita artificiali in legno e pelle, rinvenute accanto a una mummia in Egitto, possano essere considerate le protesi più antiche mai scoperte. Perché funzionano come tali, come racconta lo studio pubblicato su Journal of Prosthetics & Orthotics.
Finch sospettava che il reperto, datato fra il 950 e il 710 avanti Cristo, non fosse stato creato soltanto per ragioni estetiche, ma anche per aiutare a camminare una persona che aveva perso l’alluce. Un ausilio fondamentale, in un’epoca in cui tutti indossavano sandali.
Per provare la sua teoria, la ricercatrice ha costruito delle riproduzioni delle protesi e dei sandali usati dagli antichi Egizi, per poi farli indossare a due volontari cui mancava l’alluce destro. I soggetti hanno poi camminato lungo un percorso di dieci metri sotto l’occhio di una telecamera, che ne ha analizzato i movimenti. E l’analisi dei filmati ha confermato l’intuizione di Finch: la flessione ottenuta con la replica è risultata essere dal 60 al 78% di quella raggiunta con le dita autentiche. I volontari ne hanno confermato la comodità, mentre analisi della pressione sui tessuti hanno mostrato anche che indossare le repliche non aveva causato nessun danno ai tessuti circostanti.
“Un risultato interessante”, ha spiegato la scienziata commentando lo studio, “è che l’abilità di darsi la spinta non era altrettanto buona se non si indossavano i sandali”. Un elemento questo che sottolinea come, con tutta probabilità, il reperto sia stato costruito proprio per questo uso specifico. “Senza la protesi un egiziano sprovvisto dell’alluce sarebbe rimasto a piedi nudi: gli sarebbe stato molto difficile camminare indossando i sandali tradizionali” aggiunge Finch: “La nostra ricerca, invece, suggerisce che le dita artificiali rendono quest’attività molto più naturale”.
Riferimenti: Università di Manchester
JPO Journal of Prosthetics & Orthotics doi: 10.1097/JPO.0b013e31826f4652
Credits immagine: J L Finch with permission from the Egyptian Museum, Cairo, Egypt