Acqua: è necessaria per lavarsi, pulire, cucinare e innaffiare l’orto. Ma non solo. La fetta principale dei consumi proviene dalla produzione industriale degli oggetti di uso quotidiano (dal cibo, ai vestiti, ai cellulari), per non parlare del trasporto e del commercio di questi prodotti. Da questo punto di vista l’Europa è in prima fila nel minacciare le riserve idriche del pianeta, come ricorda lo studio “Quanta acqua sfruttiamo”, condotto dal Sustainable Europe Research Institute (Seri) per l’associazione ambientalista Amici della Terra/Europa.
Il vecchio continente, si legge nel rapporto che sarà presentato l’8 e 9 novembre 2011 al Parlamento europeo, è al quarto posto nel mondo per consumi procapite, e i suoi abitanti utilizzano assai più acqua per la produzione industriale e il consumo dei beni che per le necessità primarie di pulizia e alimentazione. E’ il paradosso: “Per creare un litro di acqua in bottiglia ne vanno via nove litri nel processo di imbottigliamento”, scrivono i ricercatori nel documento, e per produrre una tazza di caffè ne servono 140 litri. Essendo l’Europa il principale importatore di materie prime al mondo, esercita dunque una gigantesca pressione indiretta sulle risorse idriche di altri paesi, danneggiando quelli in cui le riserve d’acqua sono già scarse.
Così, denunciano gli ambientalisti, l’eccessivo utilizzo delle risorse naturali da parte della regione ha un impatto negativo sulle riserve idriche dell’intero pianeta. L’importazione di prodotti ad alto consumo d’acqua fa crescere enormemente il consumo di acqua di un paese, e contestualmente l’“impronta idrica” dei suoi cittadini. Nel caso dei beni provenienti dall’estero, infatti, sebbene l’acqua utilizzata per produrli sia prelevata nel territorio dello Stato esportatore, è in realtà utilizzata da quello importatore. Così, come mostra il rapporto, il prelievo giornaliero di acqua di un cittadino medio europeo è di appena 1.550 litri, nettamente inferiore alla sua impronta idrica, cioè al suo effettivo consumo complessivo: attraverso l’uso di materie prime e beni di consumo importati dagli altri continenti, infatti, i cittadini europei utilizzano molta più acqua di quanta ne prelevino dal proprio territorio.
Il richiamo all’Europa vale ovviamente anche per altri paesi. Ai vertici della classifica del consumo di acqua procapite, secondo lo studio, c’è infatti il cittadino medio americano, che utilizza virtualmente 7.700 litri d’acqua al giorno e 100 kg di materie prime, mentre in coda c’è quello africano, con 3.350 litri e appena 11 kg. Quello europeo si trova nel mezzo, con un consumo giornaliero di 4.750 litri e 55 kg pro-capite: qui oltre il 60 per cento dell’acqua prelevata viene impiegata dall’industria, soprattutto negli impianti di raffreddamento del comparto energetico, mentre la parte rimanente è destinata in egual misura all’irrigazione dei campi coltivati e al rifornimento idrico pubblico.
“In un mondo dalle risorse limitate, dobbiamo prendere in considerazione il legame tra i nostri consumi, la crescita e la prosperità economica delle nostre società”, dichiara Ariadna Rodrigo, attivista di Amici della Terra/Europa. Secondo l’associazione, per far fronte al problema, l’Europa dovrebbe iniziare a misurare la propria impronta idrica per stabilire dei limiti e incoraggiare una riduzione significativa nell’uso dell’acqua.
Foto credit: Marlon Felippe
1) Per produrre una tazza di caffe’ secondo codesti ecologisti servono bel 140 litri d’acqua. … Forse. …. (A me paion troppi, quale sarebbe il metodo di calcolo? Comunque ammettiamo pure). Quale sarebbe la soluzione? Smettere di importare caffe’? Salverebbe i consumi primari (acqua da bere e per lavarsi) di altri continenti ? Ridicolo, penibile. Ci campano in tanti sulla produzione ed esportazione di caffe’, cacao, ananas, banane ecc. prodotti agricoli tipici tropicali non producibili (economicamente) in Europa
2) Nessuno dei consumi (tutti industriali) citati dal Vostro articolo per l’Europa (salvo il caffe’) presuppone consumo di acqua in altri continenti, anzi, c’e’ da togliere dalla impronta ecologica degli europei quanto dei prodotti industriali (ed agricoli, zucchero e formaggi per esempio) va esportato in altri continenti.
Allora vi cito io alcuni, dei piu’ importanti consumi europei di beni importati con uso di acqua negli altri continenti ove son prodotti.
Direi cereali e carni importate. Magari anche metalli ed idrocarburi.
Ma anche queste importazioni non solo servono a noi ma sono necessarie alla sopravvivenza dei paesi esportatori.
Nessuno puo’ ragionevolmente pensare a focalizzarsi a rallentare
questi scambi nell’interesse dei paesi esportatori.
3) Dunque il problema e’ altro.
In primis e’ la SOVRAPPOPOLAZIONE, del terzo mondo , si’ ma anche d’Europa.
Pero’ la sovrappopolata Europa al netto delle immigrazioni subite e’ in calo (o in drammatico crollo la sovrappopolata Italia).
POI ci sono anche eccessi di consumi e sprechi.
Che comprendono anche carenze di riciclo, filosofia usa e getta, illusione di perpetua crescita economica materiale, inseguimento dell’espansione nel quadro di sistemi di misura dell’economia (il PIL) che non considerano il consumo di capitale natura non rinnovabile, anzi lo contabilizzano come produzione nel PIL annuale, mentre e’ alienazione di capitale non rinnovabile.
E non siamo solo al picco del petrolio, ma al picco della produzione (ossia sull’orlo del calo e del crollo della stessa) per molte materie prime non rinnovabili, ed altri beni naturali come risorse ittiche e forestali, acqua freatica, metalli comuni e terre rare, e perfino produzioni agricole (per diminuzione delle superfici arabili e dei millimetri di suolo fertile /topsoil) calo della biodiversita’ ed inquinamento.
Ma alla radice di tutti i mali c’e’ l’eccesso di popolazione, il non voler capire che di piu’ non e’ per niente meglio.
Non c’e’ un solo problema che non verrebbe ridotto se si fosse riusciti a bloccare la popolazione alla meta’ di quella attuale.
Riprendo, faccio mia e sottolineo ciascuna delle parole scritte da Marcus, qui sopra. L’ambientalismo che non prende in considerazione l’eccesso di popolazione in relazione al territorio che si sta analizzando è un falso ambientalismo, assolutamente inconsistente e puramente ideologico. Scienziati che ignorano una parte del problema fondamentale come l’eccesso di popolazione in relazione a ogni singola porzione di territorio e nel suo complesso sono falsi scienziati, acciecati da un “confirmation bias” che li squalifica nel proprio ruolo. Una rivista, anche se sul web, che segua la stessa linea non si può fregiare della qualifica di “giornale di scienza”.