Quanto vale un farmaco salvavita?

Più di cento esperti in ematologia hanno di recente sostenuto in un editoriale pubblicato su Blood, la rivista dell’American Society of Hematology, che il prezzo troppo alto dei farmaci per il trattamento della leucemia mieloide cronica (Lmc) metta a rischio l’accessibilità alle cure di una fascia di pazienti e la loro sostenibilità economica per i sistemi sanitari nazionali.

Quando la Novartis ha lanciato nel 2001 l’innovativo farmaco Gleevec, il capostipite degli inibitori della tirosina chinasi (tyrosyne kinase inhibitors, Tki), il suo costo era di 30mila dollari l’anno. Oggi è salito a 92mila dollari. Tki di seconda e terza generazione costano oltre 100mila dollari l’anno. Cos’è successo in questi dieci anni?

Gleevec, è stato il primo farmaco razionalmente progettato a partire dall’alterazione genetica che causa la malattia, ha quindi un meccanismo d’azione estremamente mirato. Il suo successo terapeutico è stato tale da rendere la Lmc simile a una malattia cronica come il diabete o l’ipertensione. Ha ridato la speranza di una vita normale a migliaia di malati, meritando anche la copertina di Time.

Secondo il gruppo di ematologi, questo successo ha però permesso alla Novartis di dettare le regole che hanno portato i prezzi dei farmaci oncologici a livelli inaccettabili. L’azienda ha immediatamente replicato all’articolo sottolineando il suo impegno a fornire il farmaco a oltre 50mila pazienti in 80 Paesi a basso reddito e il costante investimento nella ricerca di cure innovative per il cancro.

Negli Stati Uniti, dove i pazienti possono arrivare a coprire economicamente oltre il 20% della cura, la sostenibilità dei costi può essere una questione di vita o di morte, come dimostrano gli appelli dei firmatari di una petizione che chiede riduzione dei prezzi del farmaco. Lo scorso primo aprile, la corte suprema indiana ha rigettato il ricorso della Novartis contro il rifiuto di estendere il brevetto del Gleevec. Questo risultato è stato salutato dalle associazioni umanitarie come una grande vittoria perché apre il mercato ai farmaci generici, venduti a meno di 200 dollari al mese. Il brevetto negli Stati Uniti è stato esteso invece fino al gennaio 2015.

Le società farmaceutiche spiegano il livello dei prezzi con la sostenibilità economica della ricerca farmaceutica: grandi profitti si traducono in grandi investimenti, il che significa speranza per altri malati. Si calcola che il costo dello sviluppo di un farmaco sia attorno al miliardo dollari, anche se in realtà studi indipendenti collocherebbero la cifra a livelli molto più bassi (50-60 milioni di dollari). Con una diffusione stimata di 30mila pazienti negli Stati Uniti, il Gleevec dovrebbe aver generato al prezzo iniziale utili per circa 900mila dollari l’anno, consentendo perciò all’azienda di rientrare dei costi già nei primi due anni. Tutto il resto sono profitti.

Secondo i medici che hanno sottoscritto l’editoriale, in un caso come questo le ragioni etiche non possono essere tralasciate in favore delle sole leggi del mercato. Propongono perciò che si apra un dialogo fra le parti in causa, organizzando incontri regolari, per affrontare il problema e proporre delle soluzioni. Dialogo al quale la Novartis, nel comunicato di risposta all’articolo, si è dichiarata disponibile. 

Riferimenti: Blood doi:10.1182/blood-2013-03-490003

Credits immagine: ThomasThomas/Flickr

1 commento

  1. Il problema è quello delle cifre. Le ditte farmaceutiche riportano esorbitanti cifre per gli investimenti, mentre gli anti-Big Pharma (che rappresentano una corrente di pensiero ormai alquanto diffusa) sono ultraminimalisti. Rimane il fatto che lo sviluppo di un farmaco è una impresa oggigiorno sempre più costosa e sempre più rischiosa. Se si vuole spendere meno per i farmaci nuovi, sarebbe, in fondo, sufficiente mettere delle regole – per ottenere l’A.I.C. (Autorizzazione per l’Immissione in Commercio) – meno rigorose e meno costose. Credo che si possa fare.

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