Hal HellmanLe dispute delle medicina. Dieci casi esemplariRaffaello Cortina, 2002pp.317, euro 21,50Hal Hellman è divulgatore e giornalista scientifico. Questo suo pedigree professionale lo ha portato ad applicare i metodi del reportage alla storia della scienza. Prima con “Le dispute della scienza” (Raffaello Cortina, 1999), oggi di nuovo con l’obiettivo ristretto al campo medico, ha analizzato episodi significativi del passato più o meno recente che hanno contribuito in maniera decisiva allo sviluppo della nostra conoscenza della natura. “Le dispute della medicina” copre circa quattro secoli. La prima diatriba è quella che nel Seicento vide come protagonista e vincitore William Harvey, medico inglese che scoprì e dimostrò il fenomeno della circolazione sanguigna, fino ad allora ignoto (si pensava, in ossequio all’anatomia galenica che il sangue venisse continuamente prodotto e consumato). Dopo Harvey, sono Galvani e Volta ad affrontarsi sull’elettricità animale. Poi Ignaz Semmelweis che sfida i medici viennesi sulle infezioni ospedaliere (e quindi sulle misure preventive), Claude Bernard che fonda la fisiologia sperimentale nonostante l’opposizione dei colleghi e degli antivivisezionisti, Pasteur contro una lista troppo lunga di contendenti (a merito di Pasteur, va detto che si occupò con profitto di tanti e diversi campi disciplinari da risultare antipatico a molti colleghi). Poi Freud e i suoi allievi poco fedeli. Le ultime tre sezioni sono dedicate al Novecento. Albert Sabin contro Jonas Salk sui vaccini per la poliomielite. Rosalind Franklin e Maurice Wilkins sulla scoperta della struttura del Dna. Robert Gallo e Luc Montagnier sul virus dell’Hiv. Come detto, lo stile è quello dell’inchiesta giornalistica, con molta attenzione alla persona che sta dietro lo scienziato, alle idiosincrasie e ai drammi privati. I resoconti di Hellman mettono in luce gli aspetti biografici più che quelli scientifici, almeno dove possibile, allargando poi lo sguardo al contesto socioculturale che era al contorno della disputa. In questo modo si sacrifica qualcosa alla correttezza e alla completezza storico-scientifica dei racconti, con più spazio al “pettegolezzo” piuttosto che al “dibattito”. Non è d’altra parte un caso che raramente siano state utilizzate le fonti primarie per le ricostruzioni. I rimandi sono solitamente a biografie successive, a resoconti posteriori. Per quanto Hellman sia sempre molto attento a non creare contrapposizioni manichee tra il buono e il cattivo della storia, troppo spesso le simpatie dell’autore sono dichiarate e fanno scivolare la narrazione verso l’agiografia. Questo accade soprattutto sulle storie più remote, mentre risultano più lucidi i capitoli novecenteschi. Si nota inoltre uno strabismo anglosassone nella bibliografia citata e consigliata, che lascia fuori alcuni testi fondamentali della storia delle scienze biomediche.Tali pecche sono però compensate da una scrittura sempre molto brillante, che non lascia spazio alla noia anche quando si tratta di spiegare concetti scientifici. Risulta quindi felicissimo l’abbinamento con la prefazione di Giorgio Cosmacini, maestro di stile divulgativo mai semplicistico, che racconta del giacobinismo medico che a cavallo tra Sette e Ottocento fu al centro della disputa tra i medici italiani Pietro Moscati e Giovanni Rasori. Principale merito del libro, orientato più a un pubblico di profani che agli addetti ai lavori, è comunque quello di mostrare come la storia della scienza non sia sempre un progresso lineare. Anzi, gli errori, i “vicoli ciechi” sono spesso causa di discussioni che contribuiscono in modo decisivo allo sviluppo della nostra conoscenza della natura.