La tecnologia si chiama phased array ed è nota da tempo: una matrice di antenne capaci di trasmettere onde radio o elettromagnetiche in una sola direzione spaziale, sopprimendo tutte le altre. Con grande lungimiranza, era già stata prevista da Ferdinand Braun, premio Nobel per la fisica nel 1909, che già un secolo fa notava come “una delle applicazioni più utili per il futuro è la trasmissione delle onde in un’unica direzione”. All’epoca, Braun si riferiva alle onde radio; oggi, gli scienziati del Research Laboratory of Electronics al Mit, diretti da Jie Sun, ci sono riusciti nel campo dell’ottica. I ricercatori hanno infatti costruito un phased array di 4.096 nanoantenne, integrate su un chip di silicio delle dimensioni di pochi millimetri, in grado di generare e calibrare con grande precisione onde elettromagnetiche direzionali. Il dispositivo è descritto sulle pagine di Nature.
Il concetto di phased array, oggi, è largamente utilizzato nel campo dell’astronomia: i dati provenienti da più radiotelescopi sono “assemblati” per aumentare la risoluzione totale del sistema. In termini spiccioli, il dispositivo di Sun è “l’equivalente di più di 4.000 telescopi in un singolo chip delle dimensioni di un’unghia”, come racconta Thomas Krauss, fisico presso la University of York. È lo stesso Krauss a spiegare le difficoltà sperimentali nella costruzione di un dispositivo del genere: “Per ottenere buone prestazioni, bisogna integrare un gran numero di antenne in un singolo chip e controllare con precisione la fase [cioè la posizione relativa dei picchi delle onde, NdA] di ogni singolo elemento. Finora, tali richieste erano difficili da soddisfare, perché le componenti elettroniche erano troppo grandi e non consentivano la miniaturizzazione del dispositivo”.
Mentre gli ultimi prototipi di phased array miniaturizzati erano riusciti ad assemblare “appena” 16 nanoantenne, l’équipe di Sun ha utilizzato una griglia metallica miniaturizzata per produrre una matrice quadrata con 64 antenne per lato, posizionandola su un chip di poco più di mezzo millimetro e riuscendo a mantenere alte le prestazioni del dispositivo in termini di potenza e risoluzione. A cosa può servire un congegno del genere? Secondo Krauss, le potenzialità sono parecchie: “La prima applicazione interessante riguarda l’imaging [la tecnica che usa la radiazione luminosa per osservare un’area invisibile dall’esterno, NdA]: si potranno ottenere immagini ad alta risoluzione del tessuto biologico o di liquidi turbolenti. Il dispositivo potrà essere utilizzato anche per progettare televisori e schermi con prestazioni maggiori rispetto a quelli attuali: per fare ciò, però, bisognerà rimpicciolire ulteriormente il chip e abbandonare il silicio, che assorbe la luce visibile. È una sfida intrigante per il futuro”.
Riferimenti: Nature doi:10.1038/nature11727, doi:10.1038/493170a
Credits immagine: Jie Sun