Un laghetto in mezzo a un prato verde nel cuore del parco del Sirente-Velino, in Abruzzo: un luogo ameno e idilliaco, oggi. Ma, 1600 anni fa, qui si consumò un evento catastrofico simile all’esplosione di una piccola testata nucleare: la caduta di un meteorite, testimoniata proprio dal piccolo catino, oggi pieno d’acqua. La scoperta del primo cratere da impatto cosmico osservato sul suolo italiano è stata quasi casuale. Un paio d’anni fa, una fotografia del laghetto pubblicata in una guida turistica del parco colpì l’attenzione di Jens Ormo, un geologo svedese a Pescara per un periodo di lavoro presso l’International research school of planetary sciences (Irsps). Un’intuizione poi confermata da un sopralluogo e dall’analisi dei campioni raccolti sul posto. La forma della conca – un ovale largo circa 140 metri- e soprattutto i bordi rialzati di poco più di 2 metri deponevano a favore dell’ipotesi del meteorite. A far scartare le altre eventualità – che si trattasse di una struttura di origine glaciale o di un’opera umana – è stata in primo luogo l’osservazione di altri 17 buchi intorno al cratere, dovuti alla caduta di pezzi distaccati dal meteorite nell’impatto con l’atmosfera. E poi le analisi compiute in laboratorio dei “carotaggi” del fondo del bacino, la datazione col carbonio 14 e la rilevazione di anomalie magnetiche causate presumibilmente dai resti del metallo che componeva il meteorite hanno fornito le conferme definitive. Alla fine i ricercatori hanno potuto disegnare questo scenario: intorno al 400 d.C. un oggetto metallico di significative dimensioni (qualche metro) proveniente dallo spazio piomba alla velocità di circa venti chilometri al secondo su una pianura in mezzo alle montagne. Nell’impatto, il gigantesco pietrone e dà origine a un cratere pari a circa dieci volte la sua grandezza e si vaporizza. “E’ una scoperta unica”, spiega Angelo Pio Rossi dell’Università di Pescara, che insieme a Ormo e a Goro Komatsu ha condotto gli studi sul cratere, “perché la crosta terrestre nell’area mediterranea è molto giovane, e quindi è stata esposta per poco tempo a impatti di asteroidi o comete”. Ma le circostanze fortunate non finiscono qui. “La morfologia del cratere è praticamente perfetta”, continua il ricercatore, “infatti, il meteorite è caduto ‘ieri’ – in termini geologici- ed è andato a finire in una zona pianeggiante in mezzo alle montagne, dove non ha subito l’erosione cui sarebbe stato sottoposto se invece fosse finito su un pendio”. Adesso i ricercatori proseguiranno con un’analisi del substrato su cui è si è abbattuta la meteora, e con l’individuazione nell’ambiente circostante delle “firme geochimiche” degli elementi che la costituivano. Ma ci sono progetti di più ampio raggio. “Ogni nuovo cratere ci consente di aggiornare la mappa della distribuzione spaziale e temporale degli impatti di corpi celesti sulla crosta terrestre”, spiega Giangabriele Ori, dell’Irsps. “Per questo abbiamo in programma una spedizione per individuare strutture simili in Africa. E stavolta la scoperta non sarà casuale, perché ci baseremo sulle immagini satellitari”. Uno studio, questo, di interesse non solo teorico. Anche se nel corso della storia umana i meteoriti sono stati eventi rarissimi, spiega lo studioso, “tuttavia è sicuro che ci faranno ancora visita, non importa se fra 100, 1000 o 10000 anni”. Ma possiamo stare tranquilli. La comunità scientifica è di vedetta.