Il “quinto stato della materia” creato a bordo della Iss

Quinto stato della materia

Tecnicamente si chiama “condensato di Bose-Einstein”, ma al grande pubblico è più simpatico presentarlo con il nome di quinto stato della materia”. Perché, in fondo, di questo si tratta: oltre ai già noti solido, liquido, gassoso e plasma, il condensato di Bose-Einstein (così chiamato in onore dei due scienziati che lo teorizzarono nel lontano 1925) è un particolarissimo stato della materia in cui dei bosoni – una delle due grandi categorie in cui sono classificate tutte le particelle note – sono raffreddati a temperature vicinissime allo zero assoluto e iniziano a comportarsi come un unicum anziché come particelle separate. Mantenendo anche a livello macroscopico – e questa è la cosa che rende il condensato particolarmente interessante – tutte le proprietà quantistiche che esibiscono a livello microscopico. Per realizzarlo sperimentalmente si è dovuto attendere il 1995: la notizia degli ultimi giorni è che un’équipe di scienziati del Jet Propulsion Lab al California Institute of Technology di Pasadena è riuscita nell’impresa di creare il condensato di Bose-Einstein nientepopodimeno che in orbita, al Cold Atom Lab a bordo della Stazione spaziale internazionale. I dettagli della scoperta sono stati pubblicati su Nature.

Uno stato sfuggente

Quando ci si avvicina allo zero assoluto, i bosoni tendono a “congelarsi” e aggregarsi fino a diventare una sorta di entità macroscopica unica, che però conserva le sue proprietà quantistiche. In questo senso, il condensato di Bose-Einstein si trova esattamente a cavallo del confine che separa il mondo microscopico, governato dalle leggi della meccanica quantistica, e quello macroscopico, in cui valgono le leggi della fisica classica. Già in condizioni “normali”, portare un insieme di bosoni a temperature molto basse non è cosa da poco: per raffreddarli, si utilizza di solito una combinazione di luce e campi magnetici; gli atomi vengono confinati in una cosiddetta “trappola magnetica” e poi, mediante un fascio laser, vengono via via estratti quelli che hanno energie più alte. La difficoltà sta nel fatto che, appena si “allentano” le maglie della trappola, il condensato tende a diluirsi e a non essere più rilevabile dagli strumenti. In parte questo fenomeno avviene anche per colpa della presenza della forza di gravità, che – per dirla in parole semplici – costringe gli scienziati a creare trappole molto “profonde” per confinare il condensato.

Condensato di Bose-Einstein più stabile

È qui che entrano in gioco lo Spazio e la stazione orbitante. In condizioni di microgravità come quelle a bordo della Iss, infatti, realizzare un condensato di Bose-Einstein stabile è più semplice, dal momento che gli effetti della gravità sono molto minori. È proprio questo che hanno voluto verificare gli scienziati di Pasadena, servendosi del Cold Atom Lab per preparare il condensato in orbita e confrontarne le caratteristiche con quelli dei composti analoghi realizzati a terra. E hanno ottenuto risultati molto interessanti: “Per esempio”, si legge su Nature, “il tempo di espansione libera, cioè quanto a lungo il condensato rimane rilevabile dopo aver ‘spento’ le trappole, in orbita è pari a circa un secondo, mentre sulla Terra non si riescono a superare le poche decine di millisecondi, il che vuol dire che in orbita si possono compiere misure molto più precise e affidabili. Inoltre, in condizioni di microgravità le forze necessarie a confinare gli atomi sono molto minori, il che rende possibile arrivare a temperature ancora più vicine allo zero assoluto, alle quali gli effetti quantistici sono ancora più evidenti e interessanti”.

Riferimenti: Nature

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Credits immagine: Nasa

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