Sperimentazione animale, la trasparenza fa bene alla ricerca

Sperimentazione animale
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Sperimentazione animale. Uno dei (tanti) temi altamente polarizzanti nel dibattito scientifico ed etico di questi mesi, attorno al quale si generano discussioni, polemiche, incontri, scontri. Che talvolta sconfinano perfino in insulti e minacce, come recentemente capitato a Marco Tamietto, neuroscienziato dell’Università di Torino colpevole, a detta degli animalisti italiani, di portare avanti una ricerca sui macachi per comprendere meglio una particolare forma di cecità che può colpire in seguito a ictus o incidenti. Oggi c’è altra carne al fuoco: pochi giorni fa Nature ha raccontato di un’iniziativa per chiedere formalmente agli scienziati che fanno ricerca preclinica di compilare dei registri online con i dettagli degli esperimenti condotti sugli animali, per minimizzare i sacrifici in termini di vite di topi e ratti (e altre specie) migliorando allo stesso tempo l’efficienza dei test. E più o meno negli stessi giorni 13mila persone, tra cui i premi Nobel Eric Kandel e Francoise Barré-Sinoussi, lo scopritore dei neuroni specchio Giacomi Rizzolatti e il farmacologo Silvio Garattini, hanno firmato un documento dal titolo Salviamo la ricerca biomedica italiana, un vero e proprio manifesto per sostenere la sperimentazione animale e contrastare la disinformazione sul tema.

Cosa vuol dire esattamente “registri degli esperimenti”, e perché c’è chi ritiene che ce ne sia bisogno? I dati da cui partire per rispondere a queste domande sono quelli relativi al rapporto tra esperimenti condotti e studi pubblicati e alla qualità degli studi. Almeno un terzo degli esperimenti che coinvolgono animali, dice Nature, non arriva mai a essere pubblicato; e, ancora, parte dei restanti è di qualità troppo bassa per essere considerato veramente attendibile – vuoi per problemi di riproducibilità, vuoi per problemi di publication bias, vuoi per altre storture che affliggono il mondo accademico e quello editoriale. È proprio per mitigare problemi come questi che diversi gruppi di ricercatori stanno promuovendo, in maniera indipendente, l’implementazione di una strategia già utilizzata e consolidata in altri tipi di esperimenti: l’istituzione di registri pubblici e trasparenti, per l’appunto. Si tratta, sostanzialmente, di database in cui i ricercatori, prima di iniziare un esperimento, sono tenuti a inserire dettagli sulle ipotesi di partenza, sul protocollo che intendono seguire ed eventualmente sui risultati attesi: lo scopo è impedire il cosiddetto cherry picking, ossia la deprecabile (e fraudolenta) pratica di scegliere solo i risultati in accordo con l’ipotesi di partenza, e di evitare che tutte le informazioni sugli esperimenti condotti e mai pubblicati vadano perdute.

Come si accennava, ci sono già degli esempi virtuosi: il registro più noto e usato, clinicaltrials.gov, lanciato nel 2000, contiene al momento i dettagli relativi a oltre 200mila trial clinici umani; Open Science Framework, che è stato lanciato nel 2012, raccoglie oltre 30mila pre-registrazioni relative a studi di psicologia o di scienze sociali, e offre agli autori la possibilità di mantenerle private per quattro anni. Un commento pubblicato lo scorso anno sulla rivista Nature Human Behaviour ha evidenziato le ricadute positive dell’istituzione dei registri: “Le metaanalisi condotte finora”, si legge nell’articolo, “hanno indicato ricadute potenzialmente positive della pre-registrazione nel contesto dei trial clinici: per esempio, uno studio ha osservato che la registrazione obbligatoria degli esiti primari sul sito clinicaltrials.gov è associata a una diminuzione del numero di trial del National Heart, Lung and Blood Institute che riportano risultati statisticamente significativi”, il che potrebbe suggerire che l’istituzione dei registri fa effettivamente sì che si conducano meno esperimenti ma di qualità migliore.

Arriviamo quindi alla sperimentazione animale, per la quale i numeri sono decisamente inferiori. Ad aprile 2018 Mira van der Naald e colleghi, dello University Medical Center Utrecht, in Olanda, hanno per la prima volta al mondo pensato di istituire un registro pubblico per raccogliere le pre-registrazioni di studi animali, preclinicaltrials.eu; più o meno contemporaneamente, gli esperti di Bf3r, un centro tedesco per la protezione degli animali da laboratorio, ha lanciato un progetto analogo, animalstudyregistry.org. Al momento i due registri contengono meno di cinquanta registrazioni, il che non è propriamente incoraggiante: uno dei possibili motivi, dicono gli esperti, sta nel fatto che è difficile cambiare abitudini consolidate. “Quello che cerchiamo di fare”, ha spiegato Malcolm Macleod, ricercatore alla University of Edinburgh che ha studiato a lungo la qualità degli studi preclinici, “è chiedere a ricercatori che non hanno mai lavorato con la preregistrazione di cambiare improvvisamente il loro modo di lavorare”. Il che, naturalmente, è tutt’altro che semplice.

Per non parlare del fatto che c’è chi (legittimamente) fa notare anche eventuali svantaggi: gli autori di uno studio pubblicato lo scorso anno su Plos Biology sostengono che l’istituzione dei registri per gli esperimenti animali probabilmente ridurrebbe il cherry picking, il publication bias e i problemi di riproducibilità, ma allo stesso tempo aumenterebbe il carico di lavoro burocratico richiesto ai ricercatori, la possibilità di furto delle idee e le accuse e le ritorsioni da parte di gruppi di animalisti. Nonostante ciò, c’è chi non perde le speranze e guarda con ottimismo al futuro: secondo Kieron Rooney, fisiologo e fervente sostenitore dell’istituzione dei registri preclinici, la strategia vincente è quella di far capire ai ricercatori che, superato l’adattamento iniziale, lo strumento potrebbe essere utile, oltre che a migliorare la qualità dei lavori, anche a trovare altri collaboratori e a capire se e come ripetere studi dei colleghi: “Dobbiamo comunicare agli scienziati che non abbiamo intenzione di rendere più difficile il loro lavoro, ma vogliamo aiutarli a risolverne le criticità. Tempo qualche anno e i registri saranno parte dell’intero processo”. Staremo a vedere.

Credits immagine: Pixabay
Via: Wired.it

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