Nel nostro patrimonio genetico c’è una parte di eredità che fin dalla comparsa dell’essere umano sulla Terra è sempre stata esclusivamente femminile. Si tratta del Dna mitocondriale (mtDNA), ovvero un gruppo di 37 geni contenuti all’interno dei mitocondri, organelli microscopici che nelle cellule si occupano di produrre energia. Una scoperta pubblicata in questi giorni sulla rivista Science, però, dimostra per la prima volta che anche l’mtDNA materno e paterno possono ricombinarsi. Finora gli studi hanno sempre confermato che durante la fecondazione, il nuovo individuo che viene a formarsi porta con sé i mitocondri che provengono esclusivamente dalla cellula uovo (oocita), e quindi dalla madre. Al contrario, il Dna contenuto nel nucleo della cellula, ovvero la gran parte del nostro patrimonio genetico, è sempre presente in duplice copia (allele materno e allele paterno). Un gruppo di ricercatori americani, danesi e tedeschi ha analizzato il tessuto muscolare dell’unico individuo (((https://www.galileonet.it/archiviop/magazine.asp?id=3893))) scoperto finora che presenta Dna paterno all’interno dei propri mitocondri. In questo modo, hanno individuato 33 ricombinazioni avvenute tra 450 molecole di Dna. Si tratta della prima dimostrazione scientifica della ricombinazione del genoma mitocondriale materno con quello paterno. La portata della scoperta, però, è ancora incerta. “Credo sia un’eccezione troppo particolare” commenta Gianfranco Biondi, docente di antropologia all’Università dell’Aquila. “L’individuo in cui sono state trovate le ricombinazioni presenta già un’anomalia molto forte, ovvero quella di avere Dna paterno all’interno dei suoi mitocondri, cosa che normalmente non avviene”. Una notizia, quindi, che non preoccupa ancora i sostenitori della paleoantropologia molecolare, ovvero la scienza che basa i propri studi proprio sul Dna mitocondriale. Quest’ultimo, infatti, si è dimostrato essere lo strumento ideale per individuare i cambiamenti che l’evoluzione umana ha subito nel corso dei millenni. L’mtDna viene trasmesso lungo la linea materna senza mutazioni, se non quelle spontanee che avvengono casualmente nel tempo. Proprio grazie alla regolarità nella frequenza con cui si verificano queste mutazioni, il Dna mitocondriale viene usato dagli studiosi come orologio molecolare, per stabilire il cammino evolutivo degli esseri viventi. “I nostri studi si basano sull’analisi di moltissimi gruppi familiari”, spiega Olga Rickards, antropologa molecolare dell’università Tor Vergata di Roma. “La scoperta è sicuramente una prova sperimentale molto importante, ma è ancora troppo presto per mettere in dubbio l’eredità tutta al femminile del Dna mitocondriale. In un certo senso ci aspettavamo che mtDna materno e paterno potessero mescolarsi, perché nei mitocondri sono presenti enzimi per la ricombinazione. La vera sfida però sarà ora quella di capire se questi genomi ricombinanti possono essere ereditati, ovvero se questo processo avviene anche all’interno delle cellule germinali, e in caso affermativo con che probabilità le mutazioni possono essere ereditate”. La scoperta pubblicata su Science è stata individuata infatti su tessuto muscolare, il cui patrimonio genetico non viene trasmesso alla prole. Secondo Olga Rickards, tuttavia, future conferme dell’esistenza di Dna mitocondriale ricombinante che porterebbero a dover rivalutare le datazioni sull’origine della specie, si scontrerebbero con forti prove che dimostrano le teorie attuali. “A sostegno della teoria secondo cui l’origine dell’essere umano è recente e africana ci sono la storia evolutiva di molti altri tratti del genoma umano, quella per esempio del cromosoma Y”. Attualmente, la teoria chiamata “Out of Africa”, una delle più accreditate, sostiene che gli esseri umani moderni abbiano fatto la loro comparsa nel continente Africano come specie completamente nuova circa 200 mila anni fa, e che da lì si siano diffusi in tutto il mondo nel corso dei secoli.