Helgoland, quel salto spericolato nel mondo dei quanti

Rovelli

Torna a scrivere, Carlo Rovelli. Dopo gli acclamatissimi (tra gli altri) Sette brevi lezioni di fisica e L’ordine del tempo, il nuovo libro del fisico veronese comincia con un giovane tedesco che si inerpica su una ripida scogliera della brulla e ventosa isola di Helgoland, nel Mare del Nord, e aspetta il sorgere del sole. Il ragazzo si chiama Werner Heisenberg e sta per avere una delle intuizioni più straordinarie della storia della scienza. O, per dirla con le parole dello stesso Rovelli, sta per “gettare per primo lo sguardo su uno dei più vertiginosi segreti della Natura che l’umanità abbia mai intravisto”. Quei segreti riguardano la natura e il comportamento – apparentemente incomprensibile, controintuitivo, quasi paradossale – delle particelle microscopiche che compongono la materia che ci circonda. Lo scrigno che li custodisce si chiama meccanica quantistica, una teoria tanto bella quanto complessa e misteriosa, sulla quale si regge la nostra attuale comprensione del mondo. Una comprensione che ha richiesto, tra le altre cose, un cambio di paradigma e di prospettiva piuttosto radicale, il passaggio da un “gioco fatto di sostanze” a un “mondo fatto di relazioni”: stando alle più moderne interpretazioni della teoria, infatti, è proprio nelle relazioni tra gli oggetti, più che in loro qualità intrinseche, che sono scritte le regole del loro comportamento, come in un “inesauribile gioco di specchi”. È lo stesso Rovelli a raccontarcelo.

Professor Rovelli, quale fu l’intuizione del giovane Heisenberg a Helgoland, il “salto spericolato” che avrebbe cambiato il corso della scienza?

“I fisici stavano studiando come funzionano gli atomi. C’erano molti dati sperimentali e molti abbozzi di teorie. Sostanzialmente, si tratta di elettroni che si muovono attorno al nucleo, ma in maniera strana. Bohr aveva scoperto che le orbite degli elettroni hanno solo certe energie e gli elettroni saltano da un’orbita all’altra assorbendo ed emettendo luce. Tutti cercavano delle forze, delle equazioni dinamiche che descrivessero questo modo degli elettroni. Heisenberg ha un’idea incredibile: non cercare nuove forze, non cercare nuove equazioni dinamiche. Tenere quelle già note, ma descrivere le variabili degli elettroni non come numeri ma come tabelle. Le righe della tabella sono le orbite di partenza del salto, le colonne sono le orbite di arrivo del salto. Le caselle rappresentano le variabili fisiche “nel salto”, cioè nei momenti in cui l’elettrone interagisce con la luce che emette o riceve. È un sovvertimento completo del modo usuale di pensare alla fisica. Funziona. Cent’anni dopo, lo usiamo tutti”.

Un aforisma attribuito a Richard Feynman recita: “Penso di poter affermare che nessuno capisce la meccanica quantistica”. E anche lei, in Helgoland, ne parla come di una teoria “al centro dell’oscurità della scienza”. Cosa rende la meccanica quantistica così difficile, così oscura, e nel complesso così affascinante?
“Affascinante lo è perché funziona così bene, ma allo stesso tempo è anche oscura. È come avere in mano uno strumento perfetto che non si sa come funziona, una specie di amuleto magico. È oscura perché non solo non ci dice cosa succede ai sistemi fisici nel momento in cui non stiamo interagendo con loro, ma sembra sistematicamente impedirci di dire cose accade a questi sistemi. L’esempio tipico è quello di una pallina che può passare per due porte. La teoria ci dice dove arriverà, ma non quello che accade mentre passa per una porta o passa per l’altra”.

Una delle parole chiave per la comprensione delle leggi della meccanica quantistica è “osservabile”. L’essere umano “osserva” da sempre l’Universo, perché, da un certo momento in poi, la questione dell’osservazione e il ruolo dell’osservatore hanno completamente e improvvisamente cambiato di senso?

“In effetti ‘osservabile’ è una parola scelta malissimo. Le osservazioni che noi facciamo non c’entrano nulla. Gli umani non c’entrano nulla in questa storia. Quello che conta è come i sistemi fisici interagiscono l’uno con l’altro. Ogni volta che due sistemi fisici interagiscono sono ‘osservatori’ uno dell’altro. Il punto è che le variabili fisiche si manifestano solo nelle interazioni”.

Raccontando il dialogo tra Heisenberg e il suo collega Časlav, lei scrive: “È come se non esistesse… la realtà…”. La meccanica quantistica ci ha costretto ad aggiornare i concetti di “realtà” e di “esistenza”: cosa è cambiato nel nostro paradigma di lettura del mondo?

“Questo è proprio il problema. Ci sono diverse letture della teoria possibili. Io credo che quello che cambi sia il modo profondo di pensare agli oggetti. Le proprietà contingenti degli oggetti (quelle che possono cambiare da un momento all’altro, come la velocità, l’energia, la posizione) non sono intrinseche agli oggetti: esistono solo quando si manifestano nelle interazioni con altri oggetti e sono solo relative a questi altri oggetti”.

Tra le possibili interpretazioni della meccanica quantistica, lei propende per quella relazionale. Perché?

“Perché è assurda, ma le altre sono ancora peggio. Si tratta di una versione più moderna e completa dell’interpretazione di Copenaghen [una delle prime interpretazioni della meccanica quantistica, formulata a metà degli anni Cinquanta, secondo la quale domande come ‘dov’è una particella quantistica prima di misurarne la posizione?’ non hanno senso, in quanto la posizione di una particella non è determinata finché non la si osserva, ndr]. Il problema della interpretazione di Copenaghen è che non si dice mai cosa si intenda per osservatore. Nell’interpretazione relazionale, qualunque sistema fisico – anche un fotone, dunque – può essere considerato come osservatore, e qualunque interazione fisica può essere trattata come una misura. Però, è bene sottolinearlo, il risultato della misura non è vero in assoluto, ma solo relativamente al sistema osservatore. Tutte le quantità fisiche, in questo senso, sono relazionali. Ma non significa soggettive: significa semplicemente che sono quantità che corrispondono a due sistemi e non a uno solo”.

Perché è così difficile conciliare meccanica quantistica e gravità? Quali sono i “pezzi” che ancora ci mancano, le ipotesi più promettenti?

“Non penso che sia ‘così difficile’. È già stato fatto. Oggi abbiamo più di una teoria capace di farlo. Per esempio, la gravità quantistica a loop e la teoria delle stringhe. Il problema è testare chi ha ragione, e non è facile perché fenomeni specifici di gravità quantistica sono a scale di lunghezza troppo piccola o scale di energia troppo alte per vederli facilmente. Ma spero ci arriveremo. Qualche passo è già stato fatto nel testare teorie, anche se parziale. Per esempio, alcune teorie di gravità quantistica che prevedevano rotture dell’invarianza di Lorentz sono state testate e il risultato è negativo. Anche la non osservazione della supersimmetria conta un po’ nell’indicare plausibilità di direzioni di ricerca”. Ci è voluto tempo per mettere in piedi teorie di gravità quantistica come la gravità quantistica a loop, perché queste richiedono di ripensare a fondo la natura dello spazio e del tempo. Bisogna capire cosa sono lo spazio quantistico e il tempo quantistico”.

Tra i fenomeni più bizzarri della meccanica quantistica, quelli che facciamo più fatica a comprendere e accettare, e che ci fanno sorridere per la loro stranezza, qual è quello che ritiene più bislacco?

“Il più semplice: immagina di vedere due porte da cui entrano delle persone. Se guardi una porta, vedi sempre entrare solo biondi. Lo stesso se guardi l’altra porta. Poi invece guardi chi è entrato, e ti accorgi che ci sono un sacco di bruni. Come hanno fatto? È la meccanica quantistica!”.

Quale lezione possiamo imparare dalla meccanica quantistica, in questi tempi di grande incertezza?

“Che non siamo poi così intelligenti! Facciamo fatica a capire perfino le nostre teorie”.