Anche un comune raffreddore può creare problemi agli astronauti che trascorrono lunghi periodi nello spazio. L’assenza di gravità e le condizioni di vita stressanti riducono l’efficacia dei meccanismi naturali di difesa dell’organismo e rallentano la risposta immunitaria agli agenti infettivi. Lo provano i risultati dell’esperimento a cui è stato sottoposto nello spazio John Blaha, 54 anni, ingegnere della Nasa, che ha trascorso 118 giorni in orbita sulla stazione spaziale russa Mir e lo scorso 22 gennaio è tornato a terra a bordo dello shuttle Atlantis.
Il sistema immunitario umano reagisce alla presenza nel sangue di sostanze estranee, gli antigeni, mettendo in atto due meccanismi difensivi: l’immunità umorale e quella cellulare. La risposta umorale consiste nella produzione di anticorpi in grado di legarsi agli antigeni e neutralizzarli. La risposta cellulare, invece, comporta l’attivazione dei linfociti T, le cellule del sangue che identificano e distruggono le altre cellule infettate da un virus. La presenza degli anticorpi specifici per un dato antigene può essere determinata attraverso l’analisi della saliva e del siero.
Campioni di siero e saliva di Blaha sono stati prelevati prima della sua partenza, lo scorso settembre. Raggiunta l’orbita, all’astronauta sono stati iniettati degli antigeni per via sottocutanea; nelle settimane successive, nuovi campioni sono stati prelevati e analizzati periodicamente per misurare la rapidità della risposta immunitaria.
I primi risultati indicano tempi di reazione molto più lunghi del normale. E’ già noto da anni che l’assenza di gravità provoca nell’organismo degli astronauti una ridistribuzione dei fluidi, e di conseguenza un’alterazione della concentrazione dei globuli bianchi nel sangue che impoverisce il sistema immunitario. Più di recente, un esperimento in orbita su colture in vitro di linfociti T ha dimostrato che l’assenza di gravità inibisce la proliferazione e l’attivazione delle cellule e dunque riduce l’efficacia della risposta immunitaria cellulare. I test effettuati su Blaha rivelano ora che anche la produzione di anticorpi, ovvero l’immunità umorale, è alterata dall’assenza di peso. ”Sembra quasi che tutti i meccanismi di difesa e rigenerazione dell’organismo siano rallentati”, ha commentato l’astronauta, “durante la permanenza sulla Mir, mi sono tagliato nel cambiare una lampadina e la ferita non si è rimarginata fino al mio rientro a Terra. Persino le unghie e i capelli crescono più lentamente”.
Ma sembra che l’assenza di gravità non sia l’unico fattore a indurre una maggiore vulnerabilità fisica degli astronauti impegnati in lunghe missioni. Alcuni ricercatori dell’Università di Toronto ritengono che abbia un ruolo importante anche un’alterata regolazione dei tempi di sonno e di veglia. A bordo della Mir, fattori ambientali come i campi magnetici, il susseguirsi di 17 albe e tramonti durante una giornata e la stessa mancanza di peso influiscono sull’orologio interno degli astronauti.
Senza contare i fattori psicologici: l’ansia, l’eccitazione e lo stress dovuto alla forzata convivenza con gli altri membri dell’equipaggio. Il risultato è un affaticamento generale dell’organismo che non è più in grado di difendersi dagli attacchi degli agenti infettivi.
L’esperimento a cui è stato sottoposto Blaha è parte del progetto Human Life Sciences della Nasa: determinare come il corpo umano si adatti all’assenza di gravità e agli altri fattori del volo spaziale. Una maggior conoscenza in questo ambito permetterà agli esperti di trovare soluzioni per minimizzare gli effetti negativi delle lunghe permanenze nello spazio, anche in vista di future missioni umane verso Marte e della realizzazione della Stazione Spaziale Internazionale.