Salute materna ancora lontana

Il quinto obiettivo del Millennio, che prevede di ridurre di tre quarti la mortalità materna e facilitare l’accesso alla salute riproduttiva nei Paesi in via di sviluppo entro il 2015, è ancora lontano. Colpa dei finanziamenti della comunità internazionale che per questo specifico settore fanno segnare una diminuzione. La denuncia arriva dal rapporto “La salute materna dai finanziamenti al campo. Le politiche che fanno la differenza”, presentato a Roma da Aidos, ActionAid e Cestas, che fa un’analisi dettagliata degli aiuti allo sviluppo per la salute sessuale e riproduttiva e riporta il risultato di ricerche condotte in Tanzania, Uganda e Nepal.

Ecco i dati: ben 350 milioni di coppie non hanno accesso a contraccettivi moderni e alle informazioni che permetterebbero loro di decidere quanti figli avere e quando. Oltre 14 milioni di ragazze diventano madri tra i 15 e i 19 anni. Dal 1990 ad oggi il tasso di mortalità materna è sceso solo dell’uno per cento, mentre per raggiungere il quinto obiettivo del millennio servirebbe una riduzione del 5,5 per cento. Tra il 1995 e il 2003 il numero degli aborti indotti è sceso da 46 a 42 milioni. Un calo che ha riguardato però soprattutto i paesi sviluppati, dove quasi tutti gli interventi di aborto sono sicuri e legali. Nei paesi in via di sviluppo, invece, dove si registra la maggior parte delle interruzioni di gravidanza, oltre 20 milioni di donne abortiscono ogni anno in condizioni non sicure, andando incontro a gravi complicazioni.

Secondo il rapporto, sono necessari più finanziamenti per i servizi di salute riproduttiva e per le attività di pianificazione familiare. “Centomila euro all’anno è il costo di un consultorio per la salute sessuale e riproduttiva nei paesi in via di sviluppo, che in quattro anni serve 20mila donne e uomini” spiega Daniela Colombo, presidente di Aidos.  Oltre maggiori fondi è necessario riequilibrare l’attuale distribuzione degli aiuti: i finanziamenti destinati a iniziative verticali, cioè centrate su una sola malattia come per esempio l’Hiv, devono essere aggiuntive e non sottratte a quelle per la salute materna. Facendo un paragone, la percentuale di persone che ha accesso ai servizi per l’Hiv/Aids è cresciuta di 24 punti dal 2003 al 2007, mentre la percentuale di persone che hanno accesso ai servizi per la salute materna, che peraltro rientrano nei piani sanitari nazionali, è cresciuta di soli quattro punti in sedici anni (1990-2006).

Serve quindi uno sforzo in più della comunità internazionale, dicono le associazioni, per raddoppiare i finanziamenti in questo campo, quadruplicare quelli per le attività di pianificazione familiare e per rafforzare i sistemi sanitari di base e la formazione del personale sanitario e parasanitario. L’importanza di quest’ultimo punto è stata dimostrata anche da uno studio dei ricercatori dell’Università del Nord Carolina e del Kinshasa School of Public Health, apparso su “New England Journal of Medicine”. Secondo la ricerca, fornendo addestramento sulla cura neonatale e la rianimazione alle assistenti di nascita, aumenta la probabilità di sopravvivenza del nascituro. Lo studio, condotto in sei paesi in via di sviluppo (Repubblica Democratica del Congo, Argentina, Guatemala, India, Pakistan e Zambia), ha portato a una riduzione del trenta per cento dei bambini nati morti, passati da 23 a 16 su 1000 nascite, e a una riduzione del 15 per cento dei neonati morti a sette giorni dal parto. (r.p.)

Riferimenti: “La salute materna dai finanziamenti al campo. Le politiche che fanno la differenza”
Nejm 362(7):614-623

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