Inammissibile la questione di legittimità costituzionale. Con questa sentenza la Consulta ha respinto il ricorso presentato il 3 gennaio scorso da un giudice tutelare di Spoleto, salvando la legge 194 sull’interruzione di gravidanza.
Il magistrato umbro era stato chiamato a decidere in merito all’interruzione di gravidanza di una minorenne. La ragazza si era rivolta a un consultorio familiare chiedendo di abortire senza coinvolgere i genitori. La giovane, secondo la relazione dei servizi sociali, era convinta di “non essere in grado di crescere un figlio, né disposta ad accogliere un evento che non solo interferirebbe con i suoi progetti di crescita e di vita, ma rappresenterebbe un profondo stravolgimento esistenziale”.
Secondo quanto previsto dalla legge 194, se a voler abortire è una donna con meno di 18 anni, è necessario il consenso di chi esercita la potestà o la tutela (articolo 12). Tuttavia la legge prevede anche che:
“se nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia espleta i compiti e le procedure di cui all’articolo 5 e rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione, corredata del proprio parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera”.
Il giudice tutelare, a questo punto, ha cinque giorni per autorizzare o meno la donna a interrompere la gravidanza, dopo averla ascoltata per conoscerne la volontà e le ragioni.
Non è però questa la parte della legge 194 che era stata contestata dal magistrato di Spoleto. Il giudice, dopo aver negato alla ragazza il diritto ad abortire, aveva sollevato un dubbio di costituzionalità per quanto riguarda l’articolo 4 della legge 194, quello che riconosce la facoltà di una donna di qualunque età di procedere volontariamente all’interruzione della gravidanza entro i primi novanta giorni dal concepimento.
Secondo questo articolo, infatti, “la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito” può recarsi in un consultorio pubblico e chiedere di abortire.
L’opinione del magistrato è che questo articolo sia in contrasto con una sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo che prevede la tutela assoluta dell’embrione umano, sebbene la sentenza fosse relativa alla ricerca scientifica sugli embrioni. Come consguenza di questo contrasto, poi, l’articolo violerebbe l’articolo 2 (riguardante la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo) e il 32 (diritto fondamentale alla salute dell’individuo) della Carta Costituzionale italiana.
Quello preservato oggi dalla Corte Costituzionale non è stato solo il diritto di una minore ad abortire senza il consenso dei genitore, ma quello di ogni donna di porre fine a una gravidanza. A dare per primo la notizia è stato, anche questa volta, il popolo della rete che alla pagina Twitter relativa all’hashtag #save194 ha annunciato l’esito della consultazione.
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