Il famigerato bosone di Higgs e i neutrini superveloci non ci sono. Il primo perché di fatto la sua esistenza è ancora da dimostrare (se si escludono le tracce appena rese pubbliche dal Cern). I secondi invece perché, dopo aver scosso il mondo della fisica delle particelle, sono ancora oggetto di discussione. Inoltre, affinché un esperimento sia considerato valido deve essere riproducibile e riprodotto, e questo per quanto riguarda i neutrini avverrà solo nel corso del 2012, dai ricercatori del progetto MINOS del Fermilab. Dunque nella top ten delle scoperte scientifiche dell’anno, secondo la rivista Science, c’è invece spazio per i meteoriti piombati sulla Terra (di cui finalmente se ne conosce l’origine), per i microbiomi intestinali (con i tre diversi enterotipi riconosciuti) e per il puzzle genetico dell’uomo moderno. Ma soprattutto per la lotta all’ Hiv, grazie alla dimostrazione dell’efficacia della terapia antiretrovirale (Arv) anche come prevenzione, capace cioè di diminuire la diffusione del virus. Ecco la classifica completa delle scoperte scientifiche dell’anno viste da Science.
1) Hiv: la terapia è prevenzione
I risultati erano attesi per il 2015, ma quando, lo scorso aprile, Myron Cohen della University of North Carolina di Chapel Hill ha cominciato ad analizzare i primi dati per il trial HPTN 052 – di cui era a capo – non ha potuto tenere per sé quanto scoperto. Aveva le prove che la terapia antiretrovirale (Arv) utilizzata precocemente per il trattamento delle persone con Hiv è in grado di ridurre la trasmissione virale fino al 96%. Il trial capeggiato da Cohen è partito nel 2007, proprio con l’intenzione di scoprire se effettivamente la terapia fosse efficace anche nel prevenire la trasmissione dell’infezione, partendo dall’assunto che il trattamento riduce i livelli del virus e quindi teoricamente anche il potenziale infettivo. Per farlo i ricercatori hanno arruolato 1.763 coppie sierodiscordanti (ovvero con solo uno dei due partner sieropositivo) di 9 paesi (Brasile, India, Tailandia, Usa, Botswana, Kenya, Malawi, Sud Africa e Zimbabwe). Metà dei sieropositivi ha ricevuto immediatamente il trattamento, gli altri invece avrebbero dovuto aspettare il raggiungimento dei parametri clinici richiesti dalle linee guida. Tuttavia, ad aprile i ricercatori hanno cominciato ad analizzare i risultati e hanno scoperto che tra 28 nuovi casi di trasmissione dell’infezione uno solo proveniva dal gruppo che aveva cominciato la terapia precocemente. Un risultato che ha portato alla conclusione anticipata dello studio e quindi all’inclusione immediata di tutti i partecipanti nella somministrazione della terapia antiretrovirale.
“ Dobbiamo dimenticare l’idea di una tensione tra trattamento e prevenzione e mettercela alle spalle, perché il trattamento è prevenzione”, ha dichiarato in occasione della Ias Conference on Hiv Pathogenesis, Treatment e Prevention tenutasi a Roma lo scorso luglio da Anthony Fauci del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Usa).
2) Le meteoriti arrivano dagli asteroidi
Il secondo posto è dedicato a un mistero spaziale finalmente risolti. L’origine delle meteoriti. Fino a oggi gli astronomi non riuscivano a comprendere perché mai la maggior parte delle meteoriti piovuti sulla Terra non sembrasse provenire dagli asteroidi più comuni, quelli del tipo S (nella fascia tra Marte e Giove). Infatti, la composizione chimica delle condriti (le più comuni meteoriti atterrate sulla Terra) non era paragonabile a quella dedotta da analisi spettroscopiche degli asteroidi. A risolvere l’arcano è stata la sonda giapponese Hayabusa, riportando a casa campioni prelevati direttamente da Itokawa, un asteroide del tipo S. Analizzandone la composizione infatti gli scienziati hanno scoperto che in realtà il mistero non esiste: il contenuto dei condriti e degli asteoroidi è lo stesso e le differenze osservate dagli astronomi finora erano solo abbagli causati dall’interazione delle particelle degli asteroidi con il vento solare che influenzava le letture spettroscopiche.
3) Il puzzle genetico della specie umana
Se a scuola vi avevano insegnato che i nostri progenitori sono nati in Africa, quindi hanno lasciato il continente e colonizzato Asia ed Europa senza mischiarsi alle popolazioni locali, dimenticatelo. Gli incroci, e quindi lo scambio di geni, tra i nostri antenati sembrano essere più frequenti e complicati di quelli finora ipotizzati. Tanto che il genoma arcaico sopravvissuto nell’uomo moderno si merita il terzo posto nella classifica di Science. Tutto è cominciato nel 2010, con la scoperta dell’ eredità genetica lasciata dai Neanderthal e dall’ uomo di Denisovan alle popolazioni moderne europee e asiatiche. E il 2011 non ha fatto altro che aggiungere pezzi al puzzle grazie all’identificazione di insolite varianti genetiche in tre distinte popolazioni africane, ereditate forse da incroci con popolazioni arcaiche vissute 35mila anni fa circa nel continente africano. Poi è arrivato lo studio dei resti di Austrolopitecus sediba ritrovati in Sudafrica. Così simile alle prime specie di Homo, da candidarsi a pieno titolo a loro antenato o per lo meno, come sottolinea Science, a contemporaneo dei nostri progenitori.
4) La struttura del fotosistema II
Senza sarebbe difficile immaginare la moltitudine di essere viventi che popolano la Terra. Così essenziale che se non ci fosse noi non potremmo neanche respirare. È il fotosistema II: il complesso di proteine e pigmenti che dà avvio alla fotosintesi, rompendo molecole d’acqua e separando l’idrogeno dall’ ossigeno molecolare. Se infatti negli ultimi anni gli scienziati sono riusciti a far luce sulle caratteristiche strutturali del complesso – scoprendo per esempio che il cuore del fotosistema II è una sorta di cubo, con 4 atomi di manganese, 5 di ossigeno e uno di calcio – nel 2011 un gruppo di ricercatori del Caltech è riuscito a sintetizzare in laboratorio l’unità centrale del fotosistema II. Che cosa potremmo farci? L’idea è quella di mimare il funzionamento del complesso per produrre grandi quantità di idrogeno libero a partire dall’acqua, da utilizzare per scopi energetici.
5) L’Universo primordiale
Fin ora era solo un’ipotesi. Poco dopo il Big Bang, le prime stelle che si formarono contenevano solo gli elementi più leggeri presenti nel cosmo (come idrogeno ed elio). Quelli pesanti, i metalli, sarebbero arrivati solo dopo, dalla fusione degli elementi più leggeri (avvenuta nelle stelle, che poi esplodendo li avrebbero poi sparati nello Spazio). Ma che la storia dell’Universo fosse andata proprio così finora restava una pura speculazione: nessuno poteva provare l’esistenza di corpi celesti così leggeri. Fino a quanto gli occhi dei telescopi del Keck Observatory (Hawaii) non hanno trovato due nubi gassose ricche solamente di idrogeno e deuterio. Niente ossigeno, carbonio, azoto o silicio: quelle nubi sono un’istantanea dell’Universo primordiale. A far compagnia alle nubi primitive al quinto posto nella classifica di Science anche la stella che non dovrebbe esistere (Vedi Galileo). Vecchia di 13 miliardi di anni contiene per lo più idrogeno ed elio, e conta una piccolissima concentrazione di elementi pesanti (circa un decimillesimo di quella del Sole). Scovata nell’Universo dagli astronomi guidati dall’italiana Elisabetta Caffau del Centro di Astronomia dell’Università di Heidelberg in Germania in collaborazione con l’Inaf, la particolare composizione del corpo celeste la renderebbe un oggetto piuttosto primordiale.
6) Di che enterotipo sei?
Producono vitamine, influenzano il metabolismo energetico e il sistema immunitario. Ce ne sono a miliardi nel nostro intestino, in una composizione così particolare da essere diversi persino nei gemelli. Quest’anno però i ricercaoti dello European Molecular Biology Laboratory di Heidelberg, in Germania, ha scoperto che nonostante la loro diversità, è possibile dividerli in comunità a seconda del tipo più presente in ogni individuo, indipendentemente da nazione, sesso o età. Una sorta i gruppi sanguigni dell’intestino, come li definisce il New York Times. Oltre a quella tedesca, sui microbi intestinali si è concentrata buona parte di tutta la ricerca scientifica dell’ultimo anno, dimostrando per esempio che ogni enterotipo è legato alla dieta (i Bacteroides abbondano quando si mangiano grandi quantità di carne, mentre i Prevotella dominano nei vegetariani), e che la composizione del nostro microbioma intestinale dipende dalla nostra alimentazione sul lungo termine e non da variazioni su piccoli periodi.
7) Il vaccino contro la malaria
Non dà protezione nel 100% dei casi e anche dove sembra funzionare non si sa ancora per quanto garantirà protezione. Eppure aver trovato un vaccino capace di contrastare la diffusione della malaria, anche se solo in parte, rappresenta un traguardo fondamentale nella lotta alla malattia. Il vaccino RTS,S, che nei risultati preliminari del trial clinico di fase III – riferiti all’immunizzazione di oltre seimila bambini tra 5 e 17 mesi in sette paesi africani – si è mostrato capace di dimezzare il rischio di malaria, potrebbe presto affiancarsi agli strumenti già disponibili. Per conoscere meglio l’efficacia del vaccino bisognerà comunque attendere il prossimo anno.
8) Sistemi solari alieni
Sono più di 700 e il loro numero continua a crescere. Sono gli esopianeti, pianeti al di fuori del nostro sistema solare lo studio dei quali potrebbe di aiutarci a fare luce sui meccanismi di formazione di queste organizzazioni. Tuttavia, a volte, si tratta di conformazioni troppo anomale per essere spiegate dalle attuali teorie. Come accade per il sistema solare che orbita intorno alla stella Kepler 11, la cui scoperta è stata annunciata lo scorso febbraio. In questo caso infatti entrambe le teorie attualmente in auge per spiegare la formazione dei pianeti non si adattano al modello osservato per Kepler 11, che vanta cinque massicci pianeti più vicini di quanto sia Mercurio rispetto al nostro Sole. Così come difficile è spiegare lo strano caso di Kepler 16b scoperto dalla missione della Nasa Kepler: il primo pianeta con due soli a essere osservato.
9) I cristalli vuoti
Il 2011 è stato anche l’anno degli zeoliti per Science. Questi minerali porosi naturalmente presenti in natura, oggi possono essere riprodotti anche in laboratorio e a livello industriale (ogni anno ne sono prodotte tre milioni di tonnellate usate per una gran varietà di impieghi: da detergenti a lettiere per gatti, da catalizzatori usati nella produzione del petrolio a filtri per purificare aria e acqua). Nel 2011 diverse ricerche indipendenti hanno anche permesso di superare i limiti ancora legati al loro utilizzo e versatilità: per esempio alcuni ricercatori sono riusciti ad aumentare la grandezza dei pori presenti e a utilizzare questi minerali per produrre dispositivi filtranti sottili ( membrane di zeoliti).
10) Come ottenere l’elisir di lunga vita? Eliminando le cellule vecchie
Le chiamano cellule senescenti, perché dopo aver vissuto per un periodo di tempo (dividendosi un determinato numero di volte) invecchiano e smettono di lavorare (ovvero di dividersi). Ma lungi dal rimanere completamente quiescenti continuano a svolgere ruoli importanti, come sostenitori, per esempio, dello stato infiammatorio (una condizione legata all’invecchiamento). Per capire se la loro eliminazione aiutasse o meno l’organismo a rimanere giovane più a lungo, un gruppo di ricercatori ha trattato alcuni topi predisposti all’ invecchiamento precoce con un farmaco in grado di eliminare selettivamente le cellule senescenti (colpendo come bersaglio una loro proteina, la p16 Ink4a). Analizzando i risultati gli scienziati hanno scoperto che sopprimere le cellule “vecchie” aiuta i topi a vivere meglio, mantenendoli più in salute. Un traguardo che richiama alla mente gli scenari di un elisir di eterna giovinezza.
via wired.it
Credit immagine: Thomas Deerinck, Kathleen Fitzpatrick, John Guatelli, Mark Ellisman, NCIMIR, UCSD/Visual Unlimited, Inc