“Possiamo dire che oggi siamo a una svolta nella gestione di questa malattia perché abbiamo dei farmaci che hanno un impatto sulla storia delle persone con sclerosi multipla”. Parla così Antonio Uccelli, direttore del Centro per la sclerosi multipla dell’università di Genova in merito alle ultime novità sugli anticorpi monoclonali, le molecole che colpiscono le cellule del sistema immunitario, tra le armi più promettenti nella lotta alla sclerosi multipla. “Abbiamo una grande varietà di farmaci diversi per le differenti situazioni, ma soprattutto cominciamo a vedere i risultati delle terapie che colpiscono i linfociti B e T, le cellule del sistema immunitario che sono come impazzite nella malattia”. Colpire i linfociti vuol dire colpire la malattia al suo cuore, perché la sclerosi multipla è una malattia a base autoimmunitaria, in cui il sistema immunitario impazzito attacca le sue stesse cellule.
A fare scalpore a Barcellona, dove si è svolto il congresso Ectrims che riunisce i maggiori esperti europei di questa patologia, sono stati in particolare i dati di un anticorpo monoclonale, Ocrelizumab, che ha ottenuto risultati positivi in tre trial clinici di fase tre, sia sulle forme di sclerosi multipla recidivante remittente (Smrr), la forma più comune della malattia, sia sulla forma primariamente progressiva (Smpp), che colpisce una piccola percentuale degli oltre 60mila italiani che convivono con la Sm (circa il 10%), ma è caratterizzata da una progressione della disabilità molto veloce.
In questo caso, si tratta della prima volta sono gli scienziati hanno riportato gli effetti positivi di un farmaco su pazienti affetti dalla forma progressiva primaria della malattia, finora senza cura. Dati incoraggianti, non c’è dubbio, sebbene non sia chiaro se l’efficacia sia per i pazienti in diverse fasi della malattia e quali siano gli effetti sul lungo termine, avvertono gli esperti. Ma vediamo di cosa si tratta.
Ocrelizumab è un anticorpo monoclonale che ha come bersaglio i linfociti B CD20+, cellule del sistema immunitario che nella sclerosi multipla sarebbero responsabili del danno alla mielina (la guaina che ricopre le fibre nervose) e ai neuroni che caratterizzano la malattia, causando disabilità. Il farmaco è stato testato in tre studi di fase tre: Opera I, Opera II e Oratorio, i primi per le forme recidivanti, l’ultimo per la forma primariamente progressiva. Gli studi Opera I e Opera II, che hanno coinvolto circa 1.600 persone, hanno mostrato che l’anticorpo monoclonale è più efficace dell’interferone beta-1a nelle forme recidivanti remittenti, per cui il farmaco è ormai uno standard terapeutico. Rispetto a questo l’anticorpo monoclonale ha – con effetti avversi paragonabili – ridotto il numero di recidive annuali, lesioni cerebrali e progressione delle disabilità. Una nuova possibile opzione terapeutica sostanzialmente, ma non certo l’unico anticorpo monoclonale utilizzato contro la Smrr.
Proprio a Barcellona, infatti, sono stati discussi i dati di sicurezza ed efficacia, ormai estesi fino a cinque anni di utilizzo, di altri anticorpi monoclonali nelle forme di Smrr. “Si tratta di farmaci molto potenti che devono essere proposti a pazienti che se ne possano effettivamente giovare”, commenta in proposito Uccelli. Alemtuzumab (che colpisce sia i linfociti T e B), per esempio, ha dimostrato di essere in grado di resettare il sistema immunitario dei pazienti, ma di farlo in maniera tale da non penalizzare troppo le difese dell’organismo. A fronte di un’azione molto potente, perché diminuisce il numero delle ricadute, rallenta la progressione della disabilità e porta una grande fetta di persone (circa il 40%) a essere liberi dalla malattia dopo 5 anni. “È ovvio che questo trattamento comporta anche dei rischi, per esempio l’esordio di tiroiditi, che però sono ampiamente accettati dai pazienti a fronte dei risultati che il farmaco può avere sulla disabilità”, continua Uccelli.
La parte più interessante dei dati relativi a Ocrelizumab, però, sono i risultati ottenuti nello studio Oratorio, condotto su oltre 700 pazienti con forme progressive. Perché, lo ribadiamo, non esistono ancora farmaci approvati per il loro trattamento. Nei dati presentati a Barcellona, rispetto al placebo Ocrelizumab, è stato in grado di ridurre in maniera significativa la progressione della disabilità clinica, la formazione di nuove lesioni e il tasso di perdita del volume cerebrale. È la prima volta che un farmaco si dimostra efficace nelle forme di sclerosi multipla primariamente progressiva ed è anche la conferma del ruolo centrale svolto dai linfociti B nella progressione della patologia.
Non è chiaro ancora però se il farmaco in questione possa essere utile per tutte le persone con forme primariamente progressiva o solo quelle in fase non avanzata della malattia. Inoltre, come ha affermato Alan Thompson, presidente del comitato scientifico della Progressive Multiple Sclerosis Alliance, “ulteriori studi saranno necessari per definire il profilo di sicurezza sul lungo termine”. La Pmsa è una collaborazione a livello internazionale focalizzata sulla ricerca per le forme progressive di sclerosi multipla, cui partecipa anche Aism, l’Associazione italiana sclerosi multipla.
“Aism”, ha aggiunto in proposito il presidente della Federazione dell’Aism Mario Alberto Battaglia, “è in prima fila nella promozione delle ricerche promosse e finanziate dalla Progressive Ms Alliance (Pmsa), punta a dare risposte a 360 gradi tanto per la conoscenza come per la terapia della Sm progressiva, sia nella forma primaria che in quella secondaria. Più di un milione di persone al mondo colpite da una forma di Sm progressiva guardano con forte attesa a questo impegno delle associazioni Sm di tutto il mondo per dare concretezza alla speranza di curarsi e vivere finalmente libere dalla malattia”.
Via: Wired.it
Credits immagine: Nicholas Mitchell/Flickr CC
Salve, sono Massimo Albino e vi contatto dalla Sicilia. Sono in cura presso un centro della Sicilia e sono affetto da SMSP, faccio parte di uno studio di sperimentazione “Ascend” e sono stato trattato con Tysabri per un periodo di circa due anni con il quale mi sono trovato benissimo, non ho avuto ricadute durante tutto il periodo di trattamento e non ho mai avuto effetti collaterali, anzi rispondevo benissimo alla terapia e ogni volta che facevo l’infusione mi sentivo come se mi si fossero caricate le batterie. Ma, questo mese è stato interrotto lo studio e di conseguenza non mi viene somministrato nessun farmaco di supporto. Una sola domanda: E’ normale tutto questo? Sono solo un topolino da laboratorio?