Fred Hoyle oggi è un arzillo ottantunenne. Alle spalle, una brillante carriera scientifica, una commedia, diversi racconti di fantascienza, una ventina di libri di vario genere, un’autobiografia. Soprattutto, tante polemiche. Qualche tempo fa è stato insignito di un premio per il maggior numero di teorie… sbagliate! Humour britannico? Niente affatto: la comunità dei fisici gli è riconoscente, perché le sue teorie controcorrente, sconfitte dalla prova dei fatti ma sempre di grande ingegno, hanno stimolato lo sviluppo di altri modelli. E Hoyle non si arrende: a distanza di mezzo secolo dalla formulazione della sua teoria, ribadisce in ogni congresso la propria posizione estrema: il Modello Standard non è suffragato da fatti certi, i fisici vi si affidano dogmaticamente, il Big Bang è religione, non scienza.
Ma Hoyle non è l’unico nemico della teoria della palla di fuoco primordiale. John Maddox, direttore di “Nature”, una delle più rispettate riviste scientifiche, scrive in un editoriale dell’agosto 1989: “Questa visione dell’origine dell’universo è ampiamente insoddisfacente […] e inaccettabile filosoficamente, perché l’origine del Big Bang stesso non è suscettibile di discussione. Maddox è insoddisfatto della cortina impenetrabile che nel modello del Big Bang vela l’origine dell’universo. La trova antiscientifica, e aggiunge che i creazionisti trovano ampia giustificazione in una dottrina che escluda l’istante iniziale di vita del cosmo dalle possibilità dell’investigazione scientifica. E altre teorie accerchiano l’anziano modello del Big Bang. Per integrarlo, o anche per rimpiazzarlo interamente. Molti fisici tentano di sostituire il punto d’inizio, infinitamente piccolo e caldo, con un nucleo, microscopico ma di densità finita. Stephen Hawking, forse il più celebre fisico vivente, propone con Jim Hartle un modello di spazio-tempo compatto, ovvero privo di confini e di punti singolari, quelli in cui le leggi della fisica non hanno più senso. Un universo la cui condizione al contorno è quella che non c’è affatto contorno. E Andrei Linde, uno dei padri della teoria dell’inflazione, ha sviluppato un modello di universo eterno, che si autoriproduce infinite volte.Ma è davvero giunta l’ultima ora per la teoria del Big Bang? Stiamo per scoprire il velo che nasconde l’origine dell’universo?
Evoluzione o eternità
Isaac Newton era in imbarazzo di fronte al problema delle origini del cosmo. Il grandioso edificio teorico dei Principia prescriveva le leggi della meccanica cui avrebbero dovuto obbedire tutti i corpi dell’universo. E la legge di Gravitazione Universale assicurava l’attrazione reciproca di tutti gli oggetti materiali. Come era possibile allora che le stelle, pur libere nello spazio vuoto, non precipitassero le une sulle altre? Newton si sbarazzò del problema in maniera sbrigativa. Le stelle restano immobili, affermò, perché l’universo è infinito: uno spazio infinito non ha origini né confini, e le stelle non potrebbero scegliere un centro su cui precipitare!
Il cosmo dunque non aveva origine nello spazio. Si trattava semplicemente, dell’Infinito, immutabile, creato in un istante senza tempo da un Dio-orologiaio che lo aveva poi lasciato correre sui binari dettati dalle leggi fisiche.La spiegazione era piuttosto ingenua, e celava la difficoltà di mettere d’accordo la teoria, che forniva soluzioni dinamiche, con il pregiudizio di un universo statico. Quanto forte fosse tale pregiudizio risulta evidente se pensiamo che, a distanza di quasi trecento anni, un altro gigante del pensiero umano non riuscì a sbarazzarsene. Nel 1916 Albert Einstein formula la teoria della Relatività Generale. Le soluzioni delle equazioni indicano che lo spazio-tempo non può fare a meno di espandersi o precipitare su se stesso. Einstein non riesce a sospettare la verità e, secondo le parole di Stephen Hawking, perde l’occasione d’oro di prevedere l’espansione dell’universo: modifica le equazioni che ha ottenuto, inserendovi la costante cosmologica. E’ una sorta di antigravità, un termine repulsivo che permette al modello del cosmo di restare immobile, inchiodato per l’eternità in equilibrio fra il collasso e l’espansione.Solo un oscuro professore di matematica, un russo di nome Aleksandr Aleksandrovich Friedmann, decide di risolvere le equazioni di Einstein così come sono. E prevede nel 1922, ignorato da tutti, un cosmo in espansione.Sette anni piu’ tardi Edwin Hubble annuncia al mondo l’allontanamento delle galassie: l’universo, il Tutto, non e’ immobile.Uno spettacolo pirotecnico di inconcepibile bellezza… Nel 1927 un altro insegnante di matematica, il belga Georges Lemaitre, riscopre le soluzioni di Friedmann. Negli anni successivi, forte del risultato sperimentale di Hubble, si spinge un passo avanti: l’universo si espande? Allora, giochiamo a guardare il film a ritroso: tutte le galassie, all’inizio dei tempi, dovevano trovarsi rannicchiate in un punto piccolissimo. Lemaitre ne parla come di un “atomo primordiale, esploso con gran rumore all’istante della creazione, come uno spettacolo pirotecnico di inconcepibile bellezza”.
Era nata la teoria del big bang. Ma furono in pochi a farci caso. Passeranno quasi vent’anni prima che il Modello Standard per l’origine del cosmo trovi la sua forma compiuta. Nel 1948 George Gamow, un ex-allievo di Friedmann, decide di studiare cosa accade alla materia alle densità altissime dell’universo primordiale. Lo fa per rispondere alla sfida lanciata dal grande astronomo Arthur Eddington: trovare un luogo più caldo del centro delle stelle. Gamow è convinto che l’atomo primordiale di Lemaitre, piccolissimo ma contenente tutta la materia dell’universo, debba essere infinitamente più caldo del più caldo degli astri. E si spinge oltre: se nelle stelle vengono costruiti elementi chimici a partire dai nuclei di idrogeno, anche il cosmo giovanissimo, altrettanto caldo e denso, deve essere stato in grado di sintetizzare i nuclei dei primi elementi chimici. Gamow mette a punto, insieme a un suo studente, Ralph Alpher, i calcoli per prevedere l’entità di questa nucleosintesi primordiale. E, con un’ironia frequente fra i fisici, per rendere l’evento solenne invita il fisico nucleare Hans Bethe a firmare l’articolo. Il 10 aprile 1948 esce su Physical Review questa sorta di ABC delle origini. Firmato, appunto, con le prime lettere dell’alfabeto greco: Alpher, Bethe, Gamow.
Il battesimo del fuoco
Alpher e Gamow non si limitano a prevedere la sintesi dei nuclei atomici leggeri nei primi minuti di vita del cosmo. Assieme a Robert Herman, un altro studente di Gamow, intuiscono che la radiazione termica di quell’epoca rovente deve vagare ancora per l’universo. Attenuata, raffreddata da miliardi di anni di espansione, ma onnipresente. Alpher e Herman, sempre nel 1948, profetizzano che la temperatura dell’universo attuale si aggiri attorno ai 5 gradi kelvin. Ma l’idea del Big Bang piace ancora a pochi. Sembra inverosimile: un universo che esplode da un nulla infinitamente denso e rovente, un cosmo nato in un luogo e in un istante in cui le leggi fisiche perdono di senso! E poi, l’idea che lo spazio e il tempo abbiano avuto un’origine sa troppo di genesi divina. Non a caso Lemaitre esultava, fiero del matrimonio perfetto fra la sua vocazione di matematico e quella di sacerdote: “Non c’e’conflitto fra scienza e religione”. E nel 1951 la Santa Chiesa dichiarava il Big Bang in accordo con la Bibbia, mentre in Unione Sovietica la teoria veniva considerata da molti in contrasto con la dottrina marxista del materialismo scientifico.Nel frattempo, compare sulla scena il grande avversario del Big Bang. Nel 1948, contemporaneamente agli articoli del gruppo di Gamow, vede la luce la teoria dello stato stazionario (Steady State Model). A proporla sono tre scienziati che durante la guerra avevano contribuito allo sviluppo del radar. Un inglese, Fred Hoyle, e due austriaci fuggiti in Gran Bretagna durante l’occupazione nazista, Thomas Gold e Herman Bondi. L’idea è attraente dal punto di vista fisico ed elegante sul piano concettuale: l’universo non solo è democraticamente identico da qualunque punto lo si guardi (Principio Cosmologico). E’ anche identico in qualunque istante sia osservato (Principio Cosmologico Perfetto). Non c’è evoluzione, se non localmente. Nessuna origine, nessun big bang. Le galassie si allontanano, ma non perché lo spazio-tempo sia in espansione friedmanniana: semplicemente, si crea in continuazione materia dal nulla, che si frappone fra stella e stella, fra galassia e galassia. La densità del cosmo resta sempre la stessa: non ci sono punti iniziali singolari, non c’è inizio del tempo né genesi.
Naturalmente, l’idea della creazione di materia viola spudoratamente la legge della conservazione della massa-energia: si rende necessaria una modifica delle equazioni di Einstein. Ma a molti sembra meno grave che ammettere che l’universo abbia avuto origine in un punto in cui “tutte” le leggi fisiche crollano. Tanto più che la generazione di materia dal nulla è sufficientemente modesta da non spaventare troppo i fisici: deve sbucare dal vuoto soltanto un atomo per chilometro cubico ogni anno.
La guerra delle origini era aperta: l’universo eterno ed elegante di Hoyle, “nihil sub sole novum”, contro la Genesi rovente di Gamow.All’inizio il modello dello stato stazionario sembra avere la meglio: i primi dati sperimentali, poi rivelatisi sbagliati, prescrivono per un universo friedmanniano un’età di 2 miliardi di anni, molto minore di quella accertata per il pianeta Terra. Hoyle esulta, e in una trasmissione radiofonica faccia a faccia con Gamow, definisce sarcasticamente la teoria dell’avversario come la teoria del gran botto: il Big Bang era stato battezzato dal suo peggior nemico. E per sopravvivere aveva bisogno di superare un altro battesimo, del fuoco: dove erano le prove dell’esistenza della palla rovente primordiale? Dove la luce e l’eco del gran boato?
Due piccioni da Nobel
New Jersey, 1965. Arno Penzias e Robert Wilson dovevano essere davvero spazientiti. Lavoravano all’antenna da quasi un anno ormai, e quell’inspiegabile rumore di fondo non accennava a sparire. L’antenna era fantastica: una specie di imbuto gigante, del diametro di 6 metri, puntato verso il cielo. A rumore ultrabasso. Era stata costruita dai Bell Telephone Laboratories per ricevere i dati del primo satellite per telecomunicazioni mai messo in orbita, l’Echo I. Ma Penzias e Wilson l’avevano trovata subito ideale per le loro ricerche di radioastronomia. Bastava puntare il corno in direzione della Via Lattea e registrare le onde radio ricevute: un po’ come spiare il respiro della Galassia.
Ma c’era il rumore. Lo stesso che ognuno di noi può sentire girando la manopola di una radio fra una stazione e l’altra: è il rumore bianco, il suono casuale che fanno gli elettroni agitandosi nell’antenna e nei circuiti della radio. Come riconoscerlo dal segnale, debolissimo ma simile, emesso dalla Galassia? Penzias e Wilson avevano costruito un’altra radio, per ricevere un segnale un pò strano: quello, quasi inesistente, di un oggetto tenuto a 269 gradi sotto zero. In pratica, il segnale fornito da questa finta radio era puro rumore, pressoché identico al rumore elettrico dell’antenna da 6 metri. Bastava fare una sottrazione: il rumore, sottratto a un rumore uguale, sarebbe scomparso. Il resto doveva essere il segnale puro del cielo: il respiro della Galassia.
E invece niente: il rumore non scompariva. Non proveniva dalla Galassia, perché era presente anche sulla lunghezza d’onda di 7,35 cm, sulla quale la Via Lattea trasmette pochissimo. I due radioastronomi pensarono allora che fosse rumore radio proveniente dall’atmosfera terrestre. Ma in questo caso doveva dipendere dalla profondità dell’atmosfera: invece era identico con l’antenna puntata allo zenit (dove l’atmosfera è più sottile) e all’orizzonte (dove lo spessore éè massimo). Dunque il colpevole non era la Galassia, né l’atmosfera, o il circuito di amplificazione: Penzias e Wilson conclusero che c’era qualcosa che non andava nell’antenna. E in effetti qualcosa, nell’antenna c’era: due piccioni con manie di grandezza avevano scelto l’imbuto da 6 metri per la loro alcova. Catturati, erano stati spediti in un’altra città. Ma i piccioni sono noti tanto per la testardaggine che per uno spettacolare senso dell’orientamento: nel giro di pochi giorni i due sposini erano tornati al nido. Sfrattati in maniera più energica, i piccioni erano comunque riusciti a lasciare ricordi della loro presenza: l’interno dell’antenna era abbondantemente ricoperto da una sostanza fertilizzante dall’odore non proprio gradevole. Una sostanza che Penzias definì un materiale dielettrico biancastro. Finalmente, all’inizio del ‘65 gli astronomi avevano potuto smontare l’antenna e pulirla. Tutto ora doveva funzionare.
E invece niente: il rumore c’era ancora, diminuito appena, e proveniente da un luogo esterno all’antenna, fuori dall’atmosfera. Fuori dalla Galassia. Era un messaggio cosmico.Penzias e Wilson non riuscivano a decidersi a pubblicare i loro risultati. Quale poteva essere il significato di una radiazione diffusa in tutto l’universo, equivalente a quella di un oggetto a temperatura fra i 2,5 e i 4,5 gradi kelvin?
L’interazione fra fisici teorici e sperimentali si rivelò cruciale. Un giovane teorico di Princeton, Jim Peebles, aveva sostenuto in una conferenza l’esistenza di un fondo di rumore radio cosmico, risalente al principio dell’universo, con una temperatura dell’ordine dei 10 kelvin. Era, di nuovo, la previsione di Gamow, Alpher e Herman, supportata da ulteriori calcoli: a Princeton, lo stimolo per lavorare in questa direzione era partito da Robert Dicke; ma, ignari gli uni degli altri, avevano ottenuto risultati simili Yakov Zeldovich in Russia e Hoyle e R. Tayler in Inghilterra.Penzias venne a sapere per caso, da un amico, della conferenza di Peebles. Il tempo di tirare le somme e Dicke a Princeton riceveva una telefonata: di lì a poco, sarebbero uscite su Astrophysical Journal due comunicazioni abbinate. Una sperimentale, in cui si parlava di un misterioso eccesso di temperatura di antenna sulla lunghezza d’onda dei 7,35 centimetri. L’altra, teorica, con una possibile spiegazione dell’enigma: il rumore era dovuto a un fondo cosmico di radiazione nelle microonde.L’eco del Big Bang era stata udita. Hoyle era sconfitto?
Il trionfo…
La scoperta del fondo a microonde (CBMR, Cosmic BackroundMicrowave Radiation) merita a Penzias e Wilson il Premio Nobel per la fisica nel 1978 (con una curiosa distrazione della giuria nei confronti di Dicke, Peebles, Gamow). Ma è solo l’inizio dei successi per il Modello Standard. I calcoli sulla nucleosintesi primordiale vengono perfezionati, e mostrano un accordo ottimo con i dati. Lo studio dei primi minuti di vita del cosmo si fa approfondito, e tutto sembra confermare l’idea dell’origine da un punto piccolissimo e caldissimo, fra 10 e 20 miliardi di anni fa. La teoria di Hoyle, Bondi e Gold regge a stento al colpo: è molto difficile spiegare il perché di una radiazione diffusa e omogenea nel cosmo, se essa non si è originata da una palla di fuoco. E altrettanto difficile è spiegare la sintesi degli elementi leggeri: secondo il Modello Standard, l’elio viene costruito nei primi minuti di vita del cosmo. Nella teoria dello stato stazionario l’unica fabbrica di elio possibile si trova all’interno delle stelle, ma questa sembra in grado di fornire al massimo il 2 o 3 percento dell’elio presente nell’universo. Infine, i conteggi delle sorgenti di onde radio sparsi nel cosmo mostrano l’evidenza di un’evoluzione dell’universo: un gruppo di astronomi di Cambridge, guidato da Martin Ryle, scopre all’inizio degli anni ‘60 che le sorgenti radio lontane sembrano decisamente più numerose di quelle vicine. Il che puo’ significare solo due cose: o ci troviamo in una zona del cosmo nettamente diversa dalle altre (cioè con poche sorgenti radio), oppure in passato le sorgenti erano più abbondanti (perché la luce che ci giunge dalle sorgenti lontane ce le dipinge come erano milioni di anni fa). In entrambi i casi l’universo è mutevole, nel tempo o nello spazio: il Principio Cosmologico Perfetto di Hoyle è violato.
…e, insieme, la crisi
Ma se l’universo non è eterno resta da spiegare la sua origine. E il Big Bang non può farlo: l’istante iniziale, nel Modello Standard, è una singolarità nello spazio-tempo. Un luogo-evento senza senso, dove l’energia, la densità della materia e la temperatura sono infinite. Non c’è modo di scoprire le condizioni iniziali, tutto può uscire dal cappello magico: l’universo appare dal nulla. Senza cause, senza spiegazioni. Molti si rifiutano di credere all’esistenza della singolarità. Evgenij Lifshitz e Isaac Khalatnikov nel 1963 cercano soluzioni delle equazioni di Einstein più generali di quelle di Friedmann. Sperano che una soluzione più generale, che tenga conto delle disomogeneità dell’universo e delle diverse velocità delle galassie, sia priva di singolarità iniziale. Ma la speranza è vana: nel 1970 Stephen Hawking e Roger Penrose dimostrano con un procedimento elegantissimo che, se la Relatività Generale è la teoria giusta per descrivere lo spazio-tempo, l’universo non può che avere inizio con una singolarità.
E l’istante iniziale non è l’unico momento che il Modello Standard fatica a descrivere. Il fondo cosmico, che aveva contribuito alla vittoria del Big Bang, presto diventa un alleato scomodo. E’ troppo uniforme: se l’universo iniziale era omogeneo come lo fotografa il fondo a microonde, come mai oggi lo vediamo organizzato in stelle, galassie, ammassi di galassie? Come è possibile costruire tante strutture partendo da una “tabula rasa”?Nel 1989 viene lanciato il satellite COBE (“Cosmic Background Explorer”). Le sue misure del fondo cosmico sono estremamente precise: il fondo è assolutamente identico in tutti i punti dell’universo, oltre una parte su 10.000. Finalmente, nel 1992, il gruppo di ricercatori che lavora ai dati di COBE, guidato da George Smoot, annuncia di aver trovato microscopiche increspature nel fondo cosmico. Sono le piccole disomogeneità iniziali che devono aver funzionato da semi per la crescita delle prime galassie. E’ grande, il sospiro di sollievo dei teorici. Hawking proclama persino: “E’ la scoperta del secolo, se non di tutti i tempi”. Ma anche così resta difficile spiegare come si siano formate, in pochi miliardi di anni, le strutture che vediamo oggi. Si è costretti a ricorrere alla presenza di materia oscura (dark matter), invisibile ma in grado di accelerare l’effetto di aggregazione gravitazionale.
Come se non bastasse, il Modello Standard deve affrontare alcuni paradossi che lo minano alla base. I più drammatici sono quello dell’omogeneità e quello cosiddetto della “piattezza”. Il primo deriva di nuovo dalla straordinaria uniformità dell’universo primordiale. Nel Modello Standard, durante l’espansione iniziale del cosmo si vengono a formare regioni che non possono comunicare in nessun modo, perché sono più distanti del cammino che la luce riesce a percorrere nel breve tempo fornito dall’età dell’universo. Come è possibile allora che queste regioni, che non sono “mai” venute in contatto le une con le altre, risultino avere tutte la stessa identica temperatura? E’ come se telefonassimo a mille persone sparse per il mondo chiedendo loro di darci un numero a caso, e tutte ci rispondessero subito: “2,73”. O il cosmo è pervaso da una strana forma di telepatia oppure c’eè qualcosa che non funziona nel Modello Standard. Il secondo dilemma riguarda la materia contenuta nell’universo attuale. Nel Modello Standard la quantità di materia contenuta nel cosmo è un dato fondamentale. Se la sua densità è sotto un certo valore critico, l’universo è destinato a espandersi e raffreddarsi per sempre. Se invece la densità supera quella critica, l’universo, raggiunta una dimensione massima, deve ripiombare su se stesso e chiudersi in un big crunch. Non sappiamo ancora con certezza in quale situazioni si trovi il nostro universo. Ma l’enigma non è questo. Il fatto è che la scelta fra espansione e collasso dovrebbe avvenire nel giro di pochissimi miliardesimi di secondo. Dopo i primissimi istanti, un universo generico dovrebbe ripiombare nell’inferno della palla di fuoco, oppure gonfiarsi fino a diventare un immenso scatolone buio e ghiacciato. Invece, il nostro cosmo è qui da almeno dieci miliardi di anni e il suo destino ancora non è chiaro. E’ come se qualcuno avesse scelto di calibrare con precisione spaventosa la densità in modo che sia praticamente identica a quella critica. Per regalarci un cosmo né concavo (cioè destinato a crescere per sempre) né convesso (cioè condannato a ricadere su se stesso), ma praticamente piatto. In bilico fra collasso ed espansione: una coincidenza inspiegabile nel Modello Standard.
Singolarita’ iniziale e Gravità Quantistica: come risolvere un enigma con un altro enigma
Se la singolarità iniziale del Big Bang fa la gioia dei creazionisti e di alcuni teologi, pochi fra i fisici sono quelli disposti a rassegnarsi all’esistenza di un luogo dello spazio-tempo in cui la fisica vada a rotoli. La singolarità, pensano in molti, non può essere reale: deve essere semplicemente il segnale matematico di un problema del modello. E non è difficile trovare un colpevole: man mano che ci avviciniamo all’istante iniziale, la densità e la temperatura aumentano vertiginosamente. Le leggi della fisica classica cominciano a fare cilecca: entriamo nel regno della meccanica quantistica. Ma anche questa funziona solo quando l’universo ha almeno 10^-44 secondi di età. In questa epoca, a detta di Planck, il cosmo ha un diametro di 10^-33 cm (molto più piccolo di quello di una particella elementare) e supera la temperatura incredibile di diecimila miliardi di miliardi di miliardi di gradi. Prima di questo istante né la relatività generale né la meccanica quantistica possono descrivere la realtà. Le leggi fisiche diventano quelle unificate della gravità quantistica. Con un solo problema: che la teoria della gravità quantistica non esiste. Nessuno ancora è riuscito a incorporare la forza di gravità in una descrizione quantistica coerente. Eppure molti ricercatori sono convinti che in una teoria completa della gravità quantistica l’ istante iniziale non sia più una singolarità dello spazio-tempo.
Alcuni risultati preliminari fanno ben sperare. Applicando alla cosmologia la teoria delle stringhe (uno dei modelli che negli ultimi anni si sono candidati a fornire la “Teoria del Tutto”), si trovano soluzioni prive di singolarità. In alcuni modelli, l’universo attraversa fasi alternate di espansione e di contrazione. Ma più che Big Bang e big crunch, ci sono dei “bounce”: l’universo rimbalza fra stati di dimensione massima e di dimensione minima. Anche Roger Penrose è convinto che la teoria unificata finale, sia essa di stringhe o meno, permetterà di superare le singolarità del Modello Standard e di scoprire cosa si cela dietro l’origine dell’universo. E Stephen Hawking, uno dei massimi studiosi di cosmologia quantistica, propone uno scenario originale: la gravità quantistica potrebbe mostrare che lo spazio-tempo è “finito” eppure “illimitato”. Chi fatica a immaginare un posto finito ma senza confini, può provare a farlo così: supponiamo di essere delle formiche piatte, a due dimensioni, e di vivere sulla Terra. Non potendo neanche concepire l’idea di una terza dimensione, concluderemmo che la Terra è illimitata, senza confini: la si può percorrere in lungo e in largo senza trovare modo di uscirne. Eppure, non faticheremmo a capire che la Terra è finita: basterà camminare dritti in una direzione fino a ritrovarci al punto di partenza. Allo stesso modo, secondo la “no-boundary proposal” di Hawking, il nostro spazio-tempo, a quattro dimensioni ma curvo in una quinta, potrebbe essere finito (quindi con un’ età e un volume determinati), ma illimitato. Non ci sarebbe un punto di inizio né uno di fine, non ci sarebbero singolarità iniziali (Big Bang) né finali (big crunch): L’universo sarebbe completamente autonomo e non risentirebbe di influenze dall’esterno. Non sarebbe mai stato creato, né verrebbe mai distrutto. Di esso si potrebbe solo dire che è.
Se nel Modello Standard il Big Bang è un punto di singolarità da cui emergono condizioni iniziali particolarissime e inspiegabili, nel modello di Hawking l’universo sarebbe stato in passato caldo e minuscolo, ma con una storia assolutamente autoconsistente e determinata dalla teoria. E Hawking, forse con un brivido di soddisfazione, conclude: “Ma se l’universo e’ davvero autosufficiente e tutto racchiuso in se stesso […], ci sara’ ancora posto per un Creatore?
Infiniti Big Bang… per un universo eterno
Ma se alcuni cercano, con una teoria inesistente (la gravita’ quantistica), di curare i malanni di una esistente (la relativita’ generale nel Modello Standard), altri propongono che il Big Bang possa non esserci stato affatto.Nel tentativo di risolvere i paradossi del Modello Standard (quello dell’omogeneità e dell’isotropia, quello della piattezza e diversi altri), al principio degli anni ‘80 nasce la teoria dell’inflazione. La ideano, indipendentemente e con accezioni leggermente diverse, Alexei Starobinskij e Alan Guth. Ma sono in molti a sviluppare la nuova teoria, che appare promettente.
L’idea di base èche l’universo abbia attraversato, nei suoi primissimi istanti di vita, una fase di espansione incredibilmente rapida e accelerata. L’universo osservabile deriverebbe allora da un’unica, microscopica, gocciolina dello spazio-tempo iniziale, gonfiatasi a dismisura. E i problemi dell’isotropia e della piattezza sarebbero risolti automaticamente: lo spazio-tempo iniziale, di raggio piccolissimo, non avrebbe regioni sconnesse; e quello attuale, tremendamente stiracchiato dall’espansione inflazionaria, risulterebbe nettamente piatto. Senza bisogno di fare appello a speciali condizioni iniziali.Oggi la teoria dell’inflazione, pur non potendo godere di conferme sperimentali, riscuote grande successo fra i cosmologi. I modelli inflazionari si contano a decine: “vecchia” inflazione, “nuova”, “estesa”, “super-estesa”. Un modello particolarmente interessante è quello dell’inflazione caotica, sviluppato negli ultimi anni da Andrei Linde, notissimo cosmologo moscovita, ora alla Stanford University. Nella teoria dell’inflazione caotica non è più necessario ipotizzare che l’inizio di tutto sia stato un punto infinitesimo e caldissimo, perché è l’inflazione stessa a funzionare come motore di origine dell’Universo. O di molti Universi.
Stando alle parole di Linde, forse “fra poco potremo dire addio all’idea che l’universo sia nato dal Big Bang come singola palla di fuoco. […] L’universo, anzichéessere una palla di fuoco in espansione, sarebbe un immenso frattale che cresce continuamente: sarebbe costituito da molte sfere che si rigonfiano, le quali producono nuove sfere, che a loro volta ne generano altre, all’infinito”.Il cosmo sarebbe perciò un’immensa rete frattale di bolle che si ramificano e gemmano in miriadi di piccoli Big Bang. Ogni bolla, per chi vive al suo interno, è un universo intero, del tutto sconnesso dagli altri. Piùtempo passa, maggiore è il numero di universi creati. Di conseguenza, anche se è possibile immaginare che la rete di universi abbia avuto un’origine, essa non è più necessaria: possiamo immaginare che l’universo globale esista da sempre, in uno stato di eterna inflazione e autoriproduzione. “L’inflazione non è una parte della teoria del Big Bang, come si pensava 15 anni fa” – dice Linde – al contrario, èil Big Bang a essere compreso nel modello inflazionario”. L’idea di Hoyle, Bondi e Gold di un universo stazionario sembra essere stata annientata dal Big Bang. Ma il suo fantasma aleggia ancora in attesa di vendetta. E Linde intitola così un suo recente articolo con Arthur Mezhlumian:From the Big Bang Theory to the Theory of a Stationary Universe.
“Come se veramente sapessimo di cosa stiamo parlando…”
Steven Weinberg, premio Nobel per la fisica, negli anni ‘70 commentava così la situazione del Modello Standard: “Preferiremmo che nella teoria ci fosse un senso maggiore di inevitabilità logica”.E sul modello di Hoyle scriveva: “E’ una teoria alternativa che sembra filosoficamente molto preferibile”. E ancora: “Possiamo confidare nel modello standard? Non è possibile che nuove scoperte lo scalzino […], magari risuscitando il modello dello stato stazionario? Può darsi. Devo ammettere che provo un vago senso di irrealtàscrivendo sui primi tre minuti come se veramente sapessimo di cosa stiamo parlando…”. Ma aggiungeva: “anche se dovesse finire con l’essere soppiantato, il Modello Standard avràsvolto un ruolo di grande importanza nella storia della cosmologia”.
Oggi la teoria dell’inflazione e la cosmologia quantistica sembrano poter completare il Modello Standard e promettono la soluzione a molti dei suoi enigmi. Ma in realtà ancora non sappiamo se l’universo sianato da una singolarità che lo protegge da scienziati indiscreti o se i limiti della relatività generale ci impediscano solo momentaneamente di sbirciare nell’istante zero. Non sappiamo spiegare il motivo delle condizioni inizialida cui ha avuto origine l’universo. Non siamo neppure certi che un istante zero esista.
Una versione coerente della gravità quantistica è ancora lontana, e non è possibile verificare, per ora, neppure le più approssimative previsioni della cosmologia quantistica. Anche la teoria dell’inflazione faticheràmolto a trovare riscontri sperimentali decisivi.
Intanto Hoyle e J. Narlikar hanno sviluppato una nuova teoria dello stato stazionario. Il loro modello si basa su una versione leggermente modificata della relatività generale. La creazione di materia non avviene più in tutto il cosmo, ma in aree precisecome i nuclei galattici attivi. E questo modello a stato quasi-stazionario riesce a rendere conto tanto del fondo cosmico a 2,73 kelvin quanto della nucleosintesi di deuterio, elio, litio, berillio e boro. E spiega alcuni fenomeni di assorbimento della radiazione che il Modello Standard non riesce a descrivere.
Bibliografia
(1) Y. Castelfranchi, “Infiniti universi allacciati”, Galileo, Journal n.1
(2) S. Hawking, Dal Big Bang ai buchi neri. Breve storia del tempo, Milano, 1988
(3) H. Pagels, Universo simmetrico, Torino, 1988
(4) R. Penrose, La mente nuova dell’imperatore , Milano, 1992
(5) S. Weinberg, I primi tre minuti, Milano, 1977
(6) C. Will, Einstein aveva ragione?, Torino, 1989
Spett.le Galileo vorrei porvi una domanda e spero che mi risponderete,la domanda e questa:
Il prof Roger Penrose a scoperto un onda gravitazionele circolare che però non ha nulla a che vedere con la formazione delle galassie antiche,egli sostiene invece che questa scoperta abbia a che fare con l’universo ciclico o eterno,ma la teoria dell’universo eterno non era morta con la scoperta della radiazione di fondo a microonde?
A ragione lui? oppure vi sono prove che l’universo e destinato a perire e che esso non rinascerà da un nuovo big bang?
Mi rivolgo a chiunque sia qualificato x darmi una risposta.
Ciao e grazie
Secondo me l’universo è ciclico. Non a caso, in ogni branca della fisica, si parla di frequenze.
Espongo questa mia convinzione, con tanto di numeri, nel mio file al seguente link:
http://www.fisicamente.net/FISICA_2/UNIFICAZIONE_GRAVITA_ELETTROMAGNETISMO.pdf
Saluti.
Leonardo Rubino.