Per molti la giornata non inizia prima di un buon caffè. Che si preferisca l’aroma fruttato o la nota di cioccolato, la tostatura più o meno intensa, quale amante della nera bevanda per eccellenza rinuncerebbe a una tazzina di qualità? Eppure è un’eventualità con cui dobbiamo fare i conti. I cambiamenti climatici in corso stanno rendendo difficile il lavoro di milioni di piccoli coltivatori sparsi tra il Sud America e l’Africa: temperature troppo alte, troppa luce o troppo poca acqua. Così non solo la resa ma anche la qualità delle specie di caffè più amate e commercializzate (arabica in testa) ne risente. A confermarlo è un team della Friedman School of Nutrition Science and Policy della Tufts e della Montana State University che ha concluso un’analisi della letteratura scientifica sul tema e ha stilato una lista dei fattori che sembrano incidere sulle caratteristiche organolettiche del caffè. Alcune strategie di coltivazione possono aiutare a tamponare il fenomeno, ma fino a quando?
Dieci fattori
Nell’articolo, pubblicato su Frontiers in Plant Science, gli autori elencano i dieci fattori che sembrano influenzare le caratteristiche organolettiche delle bacche (e quindi dei chicchi) di caffè delle specie Coffea arabica e Coffea canephora. I fattori identificati sono: area geografica di coltivazione, altitudine, esposizione alla luce, temperatura, stress idrico, disponibilità di nutrienti, varietà delle piante, gestione di parassiti e malattie, modalità di raccolta dei frutti, anidride carbonica.
Non per tutti, però, avvisano i ricercatori, ci sono prove forti legate al miglioramento o peggioramento della qualità del caffè, misurata in termini di concentrazioni di particolari metaboliti primari e secondari. Spesso al variare delle condizioni gli studi hanno registrato delle sfumature differenti in determinate caratteristiche.
I trend più forti emersi dall’analisi della letteratura, comunque, indicano che migliori caratteristiche sensoriali (come sapore e aroma) del caffè sono associate a una maggiore altitudine e a una non eccessiva esposizione alla luce. Anche lo stress idrico (cioè la carenza di acqua) e l’aumento delle temperature sembrano incidere sulla qualità del prodotto, oltre che sulla resa del raccolto.
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L’impatto
Le difficoltà che stanno incontrando i coltivatori hanno già portato parecchi a chiudere l’attività: rese troppo scarse e prezzo al produttore troppo basso per continuare. Le ripercussioni economiche e politiche non tarderanno ad arrivare, commentano gli esperti. Le vedremo anche sui nostri mercati, quando a fronte di una qualità più scarsa il prezzo continuerà a salire.
“Essere in grado di comprendere le ragioni scientifiche di questi cambiamenti – commenta Sean Cash, responsabile dell’analisi – potrebbe aiutare gli agricoltori e gli altri stakeholder a gestire meglio la produzione del caffè di fronte a questa e a altre sfide future”.
C’è però ancora molto da fare. Secondo i ricercatori mancano studi sul lungo termine che esaminino le interazioni tra i diversi fattori ambientali e la loro gestione sulla qualità del caffè. Inoltre, servono più ricerche sulla correlazione tra caratteristiche organolettiche e metaboliti secondari per determinare la qualità del caffè. Infine, sebbene siano state studiate alcune strategie di adattamento climatico (tra cui anche la selezione di specie selvatiche con un gusto simile a quello delle specie più apprezzate ma più resistenti ai cambiamenti climatici), bisogna andare più a fondo del problema e spingere l’intero settore a innovarsi. Perché un buon caffè non sia solo buono, ma anche sostenibile.
Via: Wired.it