Lo spessore del fianco che scivola – piano piano – nel Mar Ionio si aggira intorno ai quattro chilometri. Lo hanno misurato i ricercatori dell’ Irea -Cnr di Napoli (Istituto per il Rilevamento Elettromagnetico dell’Ambiente), dell’Ingv (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) e dell’Università Roma Tre grazie a uno studio congiunto, i cui risultati sono stati pubblicati recentemente su Geophysical Research Letters.
“Il collasso delle superfici vulcaniche è un fenomeno comune” spiega Marco Neri dell’Ingv di Catania. La causa di questi fenomeni di scivolamento di una superficie su un’altra risiede nella composizione del sottosuolo vulcanico. I vulcani, infatti, si formano in seguito alla sedimentazione del materiale magmatico che viene espulso dalle sue bocche nel corso delle eruzioni. Raffreddandosi, la lava si accumula alle pendici e forma delle superfici instabili di roccia magmatica. Nel tempo, in seguito a ripetute eruzioni, queste superfici diventano sempre più spesse, e i vulcani sempre più grandi. Succede così che il peso di queste masse rocciose accumulate nel tempo provochi il distacco di alcune zolle; questo fenomeno può verificarsi sia attraverso frane repentine, sia mediante lenti scivolamenti, continui nel tempo. Attualmente l’Etna è interessato dal secondo tipo di movimento che, in alcuni periodi, accelera producendo terremoti.
L’utilizzo di tecniche di rilevamento radar satellitare (InSAR, Interferometric Synthetic Aperture Radar) ha permesso ai ricercatori di elaborare un modello geometrico tridimensionale della zona instabile, che sono riusciti in questo modo a stabilire l’entità della massa della slavina vulcanica. Un dato fondamentale per prevedere le implicazioni che questo movimento putrebbe avere sulle future dinamiche eruttive del vulcano.