Lo studio delle ossa attraverso le storie e le esperienze raccontate dal paleontologo Brian Switek offre alla nostra immaginazione varie e insospettate sfaccettature. Si potrà definire un osso attraverso la sua composizione biochimica, la sua storia evolutiva, la sua forma e la sua variazione, tuttavia la verità sulle ossa dipende moltissimo da chi le osserva. Con Switek possiamo scorrere i milioni di anni di metamorfosi che hanno portato l’essere umano ad assumere la sua forma attuale, sapendo che il processo evolutivo è ancora attivo, ma dobbiamo anche sapere che i nostri scheletri sono tanto immersi nella nostra cultura quanto lo sono nel nostro corpo. Dietro ogni scheletro umano c’è una persona che è nata e ha stabilito relazioni con altri, ci sono un modo di vivere e delle tradizioni che appartengono ad una comunità. Per capirne il significato bisogna scavare a fondo nella storia e nella cultura, ma anche nella scienza.
Brian Switek
Lo scheletro nell’armadio.
Vita segreta delle ossa
Il Saggiatore, Milano 2020
pp.291, € 26,00
In principio fu Pikaia
Biologicamente, dovremmo sentirci parte della grande famiglia dei vertebrati e riconoscere in noi il loro stesso telaio osteologico, formato dalle parti analoghe ereditate da uno strano antenato comune. Per quanto siamo diversi da un coccodrillo o da un gatto domestico, la disposizione delle ossa nel nostro scheletro segue lo stesso schema, e questo perché discendiamo tutti da creature che avevano proprio questa conformazione, vissute prima che esistessero mascelle e colonne vertebrali, prima ancora che esistessero le ossa stesse.
La creatura originaria, chiamata Pikaia gracilens, è stata trovata insieme a molte altre creature dalle strane forme e dagli strani nomi, sepolta negli argilloscisti di Burgess, depositati nell’epoca chiamata Cambriano, 530 milioni di anni fa. La Pikaia, scrive Switek, aveva una notocorda, la struttura rigida che rappresentava un abbozzo di colonna vertebrale; quella che, in seguito alle trasformazioni subite nei successivi cinquecento milioni di anni, ci permette oggi di tenere dritta la schiena. Era una piccola barretta non ancora circondata da ossa: quelle sarebbero apparse cento milioni di anni più tardi.
La nostra storia di vertebrati
Per 17 milioni di anni a partire dalla loro origine nei mari del Cambriano, gli antenati dei vertebrati furono animali rari, emarginati, che dovevano sfuggire ai perforanti e schiaccianti apparati boccali dei loro voraci vicini invertebrati. L’evoluzione dei vertebrati in centinaia di migliaia di anni viene raccontata da Switek attraverso le trasformazioni degli ambienti e delle strutture che determinarono i nuovi modi di vivere degli animali.
La storia dell’evoluzione dei nostri scheletri non è stata una sequenza lineare di parti accumulate nel tempo: sono intervenuti cambiamenti chimici nell’ambiente e l’origine delle ossa –la trasformazione dei tessuti in uno scheletro di sostegno – fa parte di un racconto tortuoso che si sviluppa partendo dall’esoscheletro esterno anziché dall’interno. Nella bocca priva di articolazioni che aspirava piccoli pezzetti di cibo si ossificarono le mascelle. E la bocca così strutturata rese possibile la respirazione, mentre la formazione di primi denti modificava i comportamenti alimentari e, successivamente, finanche la capacità di ascoltare i suoni.
Le ossa hanno reso possibile la nostra esistenza di vertebrati, dei pesci marini e delle creature che sono tornate all’acqua: sono state un fattore decisivo per la vita sulla terraferma dei nostri antenati che avevano bisogno di un forte sostegno per resistere alla gravità.
Lo scheletro: forza, leggerezza e flessibilità
Il corpo cresce e cambia continuamente, e nel corso della vita cambiano continuamente anche le circa 206 ossa che compongono oggi lo scheletro umano. Il tessuto osseo è incredibilmente dinamico, composto da un materiale flessibile, il collagene, e da un materiale rigido, l’idrossiapatite, che insieme garantiscono allo scheletro forza, leggerezza e flessibilità. La sua adattabilità alle esigenze del corpo è dovuta al continuo lavorio di cellule specializzate, gli osteoclasti che lentamente demoliscono le strutture preesistenti mentre altre cellule, chiamate osteoblasti, formano il nuovo tessuto osseo.
Le storie sbagliate
La problematica relazione tra conoscenze scientifiche e cultura dominante viene ampiamente sottolineata da Switek a proposito del sostegno dato alle teorie di inferiorità razziale di certi gruppi umani dagli studi e dalle misure effettuate su ampie collezioni di crani. Fisiognomica, frenologia e craniometria, considerate ai loro tempi come scienze oggettive generarono invece una serie di conseguenze terribili. E analoghe considerazioni possono far riflettere su certe conclusioni delle scienze di oggi. Le scienze, dice Switek, non nascono in maniera univoca. “Non appaiono dal nulla interamente formate. Ogni scienza che abbiamo inventato è sempre stata integrata nel pensiero preesistente all’epoca in cui è nata, e ogni nostro tentativo di capire la natura si e sempre inserito nel quadro della cultura umana.” Il determinismo biologico dell’Ottocento, ad esempio, fu adottato come base scientifica per continue discriminazioni, violenze e repressioni, fondate su idee che in seguito sono state considerate pseudoscienza. Ed è sempre culturale la mancanza di rispetto per i resti umani, che ha portato e porta (oggi) commercianti e affaristi a speculare su crani trasformati in coppe ben ornate, o sulla asportazione clandestina di organi destinati ai trapianti.
Archeologia forense, tra passato e presente
Gli ultimi capitoli del libro illustrano con esempi diversi i risultati e le interpretazioni fondate su ritrovamenti di reperti ossei: emergono le relazioni tra diverse culture, i successi di indagini antropologiche, i limiti di certe indagini scientifiche.
Così, dopo infinite lungaggini burocratiche, è stato restituito alle tribù dei nativi quel che rimaneva di un loro antenato: gli antropologi bianchi, infatti, poco rispettosi della cultura e delle tradizioni altrui, non volevano cedere i resti dell’Uomo di Kennewick, uno scheletro antico di circa 9000 anni riportato alla luce alla fine del secolo scorso. Un faticoso accordo tra esigenze divergenti permette oggi di conciliare le tradizioni religiose delle varie tribù con le esigenze della ricerca contemporanea.
E ancora, le storie sulla relazione tra scienza e cultura giungono fino al ritrovamento dello scheletro di Riccardo III di Inghilterra sotto le mura di un antico convento, e alla identificazione del tipo di arma con cui erano state inferte ferite al suo corpo.
Lo scopo principale degli studi sui ritrovamenti ossei (ma non solo) è di gettare una occhiata sul passato rispetto a quanto si osserva nel presente, cercando di collegare gli eventi nello spazio e nel tempo. La vita odierna, conclude Switek , è indissolubilmente intrecciata a quella del passato. I processi di oggi non sbucano fuori dal nulla davanti ai nostri occhi, ma vanno avanti da quando c’e vita.
Omaggio a Vesalio
E’ impossibile non ammirare, all’inizio di ogni capitolo, le tavole anatomiche basate su quelle della Osteographia or the Anatomy of Bones, uno dei più straordinari manuali sulle ossa scritto nel 1733 dall’anatomista inglese William Cheselden, oggi ricordato come uno dei primi chirurghi. Osteographia non è il tipico testo di medicina e “conserva un elemento di stravaganza” simile a quella del De humani corporis fabrica di Andrea Vesalio (1514–1564). Contiene infatti illustrazioni dettagliate di teschi e scheletri che prendono vita come se non avessero affatto bisogno della carne.
Le strutture umane nel libro di Cheselden pensano, si mettono in posa, si disperano e pregano, rendendo particolarmente suggestivo il contenuto del capitolo a cui si riferiscono.
Immagine di copertina: Particolare dal Trionfo della Morte o Danza Macabra, Clusone.