Lo smartphone è diventato parte integrante delle nostre vite: dal controllare le email all’aggiornare i social media, dal tenersi in contatto con amici e familiari tramite le app di messaging al controllare il conto in banca, buona parte della nostra giornata è ormai trascorsa davanti allo schermo di un telefono. Secondo uno studio pubblicato su Plos One e condotto dai ricercatori della University of California San Francisco, tutto questo essere sempre connessi avrebbe conseguenze non trascurabili sul sonno. E non in senso positivo.
La qualità del sonno è associata a diverse condizioni, quali obesità, diabete e depressione. Matthew Christensen e i suoi colleghi, tuttavia, hanno ipotizzato che anche passare molto tempo davanti ad uno schermo possa contribuire a farci dormire peggio. Per verificare la loro teoria, i ricercatori hanno analizzato dati provenienti da 653 adulti americani (tutti con età superiori ai 18 anni), partecipanti all’Health eHeart Study, un progetto che si occupa di raccogliere dati sulla diffusione delle malattie cardiovascolari.
Durante lo studio, i pazienti hanno installato sui loro smartphone una app in grado di monitorare e misurare in minuti il tempo passato davanti allo schermo, per un periodo di trenta giorni. I partecipanti hanno anche registrato in un questionario la quantità di ore dormite in media a notte, la qualità del sonno e altre informazioni mediche.
Dai risultati, è emerso che in media, ogni partecipante aveva trascorso quasi 40 ore utilizzando lo smartphone durante il periodo della ricerca, con i telefono attivi circa 4 minuti ogni ora. Più alto era il tempo trascorso davanti allo schermo, peggiore era la qualità del sonno, e minore il numero di ore passate a dormire, soprattutto quando gli smartphone erano utilizzati in serata, poco prima di andare a letto.
Gli autori sottolineano che si tratta del primo studio che si è occupato di studiare le conseguenze di una lunga esposizione ad uno schermo, ma aggiungono anche che la ricerca ha alcune importanti limitazioni, tra cui il fatto che i dati erano forniti interamente dai pazienti, senza controllo dei ricercatori.
Riferimenti: Plos One