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Sorretti dalle staminali

di
Marco Motta

“È un passo avanti molto importante per la cura delle distrofie muscolari, ma il cammino verso le applicazioni terapeutiche è ancora lungo”. Commenta così il suo lavoro – all’insegna della cautela – Giulio Cossu, direttore dell’Istituto di ricerca per le cellule staminali del San Raffaele di Milano. Lo studio, pubblicato su Science dal suo gruppo di ricerca, capitanato da Maurilio Sampaolesi, dimostra che, a partire da cellule staminali capaci di differenziarsi in molti tipi di cellule diverse, è possibile rigenerare il tessuto muscolare compromesso dalla malattia. Almeno nei topi e per la distrofia dei cingoli. Le distrofie muscolari infatti sono una famiglia di patologie che colpiscono i muscoli scheletrici. A causarle è il cattivo funzionamento di alcuni geni artefici delle proteine (la più nota è la distrofina, la cui mutazione è alla base della distrofia di Duchenne) che vanno a costituire l’impalcatura elastica delle fibre muscolari: se anche una sola di queste proteine viene a mancare, la costruzione crolla e la fibra muscolare diviene più fragile. Nell’organismo sano i muscoli sono capaci di autoripararsi grazie alle cosiddette “cellule satelliti”, in grado di guarire le lesioni. Nelle persone affette da distrofia muscolare però anche queste cellule contengono i geni difettosi, quindi a lungo andare la loro capacità rigeneratrice si esaurisce e i muscoli vengono sostituiti da tessuto connettivo e adiposo. Proprio queste cellule erano state al centro dei primi tentativi terapeutici: ma il trapianto è risultato inefficace. Così come tutte le altre strade intraprese finora. Professor Cossu, in cosa consiste invece la novità della vostra ricerca e come si differenzia dai precedenti tentativi?”Abbiamo utilizzato un tipo di cellule staminali da noi identificate l’anno scorso, i “mesoangioblasti”: queste cellule possono divenire cardiociti (le cellule del muscolo cardiaco), muscolo liscio, oppure osso, ma si differenziano particolarmente bene in muscolo scheletrico. Nei topi i mesoangioblasti sono presenti prima e dopo la nascita ma poco a poco si riducono di numero. Noi li abbiamo prelevati, isolandoli in animali giovani e siamo riusciti a coltivarli in vitro, risolvendo un problema che spesso si presenta con le staminali, cioè quello della loro scarsa quantità”.Quali vantaggi presentano i mesoangioblasti rispetto alle “cellule satelliti” già presenti nei muscoli?”Sostanzialmente i mesoangioblasti possono circolare lungo il sistema arterioso e soprattutto possono attraversare l’endotelio, cioè la parete dei vasi arteriosi. Questo avviene non appena trovano un filtro capillare: nel nostro caso li abbiamo introdotti nell’arteria femorale dei topi affetti da distrofia e abbiamo osservato che, oltre ogni nostra più rosea previsione, le cellule attraversavano l’endotelio e si integravano nel tessuto muscolare in rigenerazione, contribuendo alla ricostituzione del muscolo scheletrico”. Questi risultati valgono per tutti i tipi di distrofia muscolare?”Nel caso dei topi si trattava di distrofia dei cingoli ma in linea di principio il nostro modello dovrebbe valere per tutti i tipi di distrofie muscolari”. Quali sono i problemi da risolvere per giungere a una terapia?”I topi sono singenici, ovvero geneticamente uguali, perciò non si verificano problemi di immunocompatibilità. Dei quali bisogna invece tenere conto negli esseri umani, fatto salvo il caso dei gemelli. Nel caso dei topi poi il muscolo è grande quanto un’unghia umana. I nostri muscoli invece sono molto più grandi: non possiamo sapere se l’efficacia della terapia sarà conservata a ordini di grandezza così diversa. Per questo motivo stiamo pensando a un modello sperimentale più vicino alle dimensioni e alla complessità di un essere umano. Un ulteriore problema è la difficoltà di isolare ed espandere i mesoangioblasti nei pazienti adulti: finora sono stati identificati e studiati solo nei vasi fetali umani mentre per le corrispondenti cellule adulte c’è ancora parecchio lavoro da fare.

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