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Sotto il velo dell’Afghanistan

di
Marina Marrazzi

Talebani col fucile spianato che, in nome dell’Islam, minacciano, stuprano, uccidono. Foto di donne, anzi dei “purka” che le nascondono alla vista, assurte a simbolo di una politica estrema che le vuole segregate, invisibili, inesistenti. Questo è l’Afghanistan del nostro immaginario collettivo, quello che i giornali e la televisione ci hanno fatto conoscere. Perciò, riesce difficile immaginare che proprio queste donne mute, a cui tutto è vietato, in realtà stanno parlando tra loro, e costruendo una rete di iniziative concrete. Zieba Shoris-Shamley è la fondatrice e direttrice di “Women’s Alliance for Peace and Human Rights in Afghanistan”, un’organizzazione non governativa che ha sede a Washington, le rappresenta, e porta la loro voce al di fuori dei confini nazionali.

“Dalla mia stanza di Washington”, racconta Zieba Shoris-Shamley, PhD in antropologia, in questi giorni a Roma per lanciare – insieme all’Aidos, Associazione donne italiane per lo sviluppo – un’iniziativa a favore di un fondo per le donne dell’Afghanistan, “sono in contatto quotidiano via e-mail (zieba@aol.com) con le numerose organizzazioni di donne afgane che lottano per risollevare le sorti del loro paese. Infatti esiste una vera e propria rete di organizzazioni non governative, che ha sede a Peshawar, in Pakistan, alla quale aderiscono 17 organizzazioni di donne impegnate nei campi profughi pakistani e in varie regioni dell’Afghanistan. Un’attività capillare, e per lo più clandestina. Questa “guerriglia”, combattuta con i fax e i computer, ha come obiettivi la formazione sanitaria, l’istituzione di corsi di alfabetizzazione, la formazione professionale. E anche la sensibilizzazione della comunità internazionale sulle reali condizioni di questa nazione espropriata, lacerata, governata da un regime che agisce senza alcuna legittimità”.

L’antropologa afgano-americana, che da due anni ha lasciato l’insegnamento per lavorare a tempo pieno alla difesa dei diritti del suo paese, ha incontrato a Roma la commissaria Emma Bonino e il ministro degli esteri Dini, oltre che numerose organizzazioni umanitarie italian. E di fronte alle giornaliste e i giornalisti riuniti nella sede dell’Unione donne italiane ha svelato un’altra realtà, anch’essa sconcertante: i Talebani non seguono l’Islam, ma gli interessi delle multinazionali e dei governi stranieri. “Voglio parlarvi dei Talebani”, ha infatti esordito, “di chi li ha creati e della loro particolare interpretazione dell’Islam”. Con risolutezza, Zieba Shoris-Shamley delinea il loro identikit: “I Talebani sono profughi, quasi tutti orfani, allevati e addestrati nei campi del Pakistan. Alcuni sono pakistani, altri ex marxisti-leninisti che si sono uniti in un secondo tempo. Istigati dal Pakistan e dall’Arabia Saudita, rappresentano uno strumento nelle mani delle potenze straniere per controllare il territorio afgano. Il tutto con l’appoggio degli Stati Uniti”.

“La guerra in Afghanistan”, continua a spiegare Shoris-Shamley, “è una guerra ‘privatizzata’, dove si scontrano gli interessi di potenze straniere. La principale posta in gioco è il controllo delle risorse petrolifere nell’Asia centrale, soprattutto quelle del Turkmenistan e dell’Uzbekistan. Su questo terreno si affrontano le grandi multinazionali del petrolio: in prima fila la Unocal statunitense, consorziata con la Delta dell’Arabia Saudita e con le compagnie petrolifere del Pakistan. Un altro consorzio è rappresentato dalla Bridas argentina, un altro ancora da Iran e Turchia. A tutto questo si aggiungono gli interessi politici dei singoli Stati, come quelli del Pakistan contro l’Iran e India e dell’Arabia Saudita contro l’influenza iraniana in Asia centrale. Insomma, il nostro paese è diventato un campo di battaglia dove le potenze straniere combattono per conto terzi. E i Talebani sono funzionali a tutto questo”.

“Tengo a precisare”, sottolinea la dottoressa afgana, “che le atrocità commesse dai Talebani in nome del Corano non hanno nessun fondamento nell’Islam. E’ necessario che la gente lo sappia, e che i governi di tutto il mondo agiscano in base a questa consapevolezza. Per esempio solo due anni fa il governo Usa diceva di non capire perché anche noi afgane parlassimo con tanto scandalo dei soprusi dei Talebani: non erano forse espressione della nostra stessa cultura? La verità è ben diversa: i Talebani non hanno nessuna conoscenza della tradizione afgana, e la loro ‘filosofia’ si fonda su costumi tribali e locali e non sul Corano. Siamo state noi afgane, insieme alle organizzazioni di femministe americane, durante incontri con membri del dipartimento di Stato e del Congresso americano a convincerli di questa realtà e a produrre in loro un cambiamento di prospettiva. Adesso, almeno a voce, il governo degli Stati Uniti combatte i Talebani. Un piccolo passo, certo, ma nella direzione giusta”.

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