Semir Zeki
Splendori e miserie del cervello
Codice Edizioni 2010, pp. 240, € 24,00
Non capita spesso che un neuroscienziato cerchi le risposte al proprio lavoro nel mondo dell’arte e della letteratura. E infatti il libro di Semir Zeki, professore di neurobiologia allo University College di Londra, è decisamente controcorrente. A partire dal titolo, che è un omaggio a Balzac e al suo “Splendori e miserie delle cortigiane”, il testo è un’autentica sfida all’interdisciplinarietà. Non è un caso che il suo autore abbia fondato a Berkeley, in California, un istituto di neuroestetica, una disciplina che studia i correlati tra arte e neurobiologia. L’idea guida di Zeki è che per comprendere il cervello non ci si possa limitare a ciò che è contenuto nella scatola cranica, ma occorra prendere in considerazione anche i prodotti della creatività umana. Un’opera di Wagner o di Thomas Mann diventano così le nuove chiavi d’accesso ai misteri della mente. Insomma, chi ha imparato a diffidare delle linee di confine tra sapere scientifico e sapere umanistico troverà qui pane per i propri denti, mentre i più tradizionalisti avranno di che scandalizzarsi.
Il libro parte da un’evidenza troppo spesso trascurata dai neuroscienziati: la straordinaria uniformità delle cellule celebrali, che sono miliardi ma che possono essere classificate in due soli gruppi fondamentali, quello delle cellule piramidali e quello delle cellule a stella. In base al criterio della corrispondenza tra struttura e funzione, ciò significa che, aldilà delle proprie finalità particolari, le cellule che popolano il cervello si trovano a condividere un compito comune e più generale. Quale potrebbe essere? Semir Zeki ipotizza che sia la capacità di astrarre, ch’egli considera come una supermodalità che trascende le modalità più specifiche di ogni singola area del cervello. Ce lo avevano già detto i filosofi: è la mente che costituisce il mondo generando concetti su cui vengono poi ad adattarsi le percezioni. Rifacendosi a predecessori illustri come Platone, Kant e Schopenhauer, Zeki vaglia l’ipotesi di una mente attivamente coinvolta nel processo di costituzione della realtà alla luce dei risultati delle proprie ricerche neuroscientifiche.
Durante il percorso impariamo molti aspetti sorprendenti sul funzionamento della macchina celebrale. Innanzitutto sul colore che, come già era stato intuito in passato, sarebbe una costruzione della nostra mente. Ci siamo mai chiesti perché continuiamo a vedere un oggetto di un determinato colore anche quando è illuminato in prevalenza da riflessi di diverse lunghezze d’onda? La riposta è che esistono neuroni specializzati che rispondono soltanto a un particolare colore, piuttosto che a una specifica lunghezza d’onda. In pratica il colore non è una caratteristica del mondo fisico ma una creazione del nostro cervello. Un altro dato interessante è che il colore è percepito circa 80-100 millisecondi prima del movimento, un tempo considerevole in termini neurali. Spostandoci dalla percezione in generale al campo più specifico della percezione estetica facciamo anche qui delle scoperte interessanti. In primo luogo il giudizio estetico, che pure varia da persona a persona, ha delle precise basi neurali. Di fronte a un quadro che giudichiamo bello, infatti, si attiverà la corteccia orbitofrontale, che fa parte del sistema della ricompensa. Lo stesso quadro, tuttavia, a un’altra persona potrà apparire brutto, e in questo caso non sarà in grado di attivare il sistema della ricompensa. Come dire, de gustibus non disputandum est: una massima che vale soprattutto quando è in gioco la passione amorosa. Esattamente come un paesaggio che ci affascina, anche il volto della persona amata ha la capacità di attivare il sistema della ricompensa.
Nel caso dell’amore, però, si attivano anche le aree che entrano in funzione quando ingeriamo sostanze oppioidi come la cocaina. Si capisce allora perché innamorarsi è un po’ come drogarsi: si sperimentano le stesse condizioni di dipendenza e di euforia. A ciò si aggiunga la disattivazione dell’amigdala e di porzioni della corteccia frontale, che provoca la sospensione della paura e del giudizio sulla persona amata. Si spiegano così da una parte l’incoscienza e l’eroismo di cui ci rende capaci l’amore, dall’altra la cecità ai difetti della persona amata. L’attaccamento è invece correlato al rilascio di due ormoni: l’ossitocina e la vasopressina. Ad avere basi neurobiologiche è però secondo Zeki anche un altro elemento centrale del sentimento d’amore: il desiderio di unità. Come attestano tra gli altri, il Simposio di Platone e le leggende mitologiche indiane, la Vita Nova di Dante e il Tristano ed Isotta di Wagner, l’amore romantico è sostenuto da un concetto universale di unione con la persona amata che deve avere le proprie basi nel cervello. L’unità nell’amore, argomenta Zeki, è qualcosa che non è dato ritrovare nella realtà e che tuttavia è un’idea costante in tutte le epoche e in tutte le culture dell’umanità. Essa farebbe quindi parte del patrimonio di idee sintetiche del cervello, ossia di quell’insieme di costrutti mentali che l’uomo costantemente si sforza di tradurre in realtà. Si ritrova qui il motivo centrale del libro, evocato anche dal titolo: l’amore e le esperienze creative sono gli splendori del cervello ma anche le sue miserie, perché non riescono mai ad essere all’altezza delle idee che le hanno generate. Così l’attività della mente, che è di formare concetti, è destinata inevitabilmente a provocare sofferenza nell’essere umano.
La distanza tra il concetto e la sua realizzazione spiega anche l’incompiuto nell’arte. L’opera di grandi artisti come Michelangelo e Cèzanne può dunque essere vista sotto una nuova luce a partire dalla constatazione che il cervello forma ideali inarrivabili.
Interessante e importante, articolo utile
(riguardi l’esattezza, nell’articolo, dove definisce la Cocaina una sostanza Oppioide, le sarà sfuggito, ma sono sostanze diverse. Umilmente, Simone).
Insomma…interessante sopratutto nella prima parte e seconda parte, quando parla di percezione e arte. Quando entra in ballo l’amore invece non è, a parer mio, molto convincente. Sopratutto deprime. Siccome questa depressione che inevitabilmente coglie il lettore alla fine del libro non appare pienamente giustificata, non vedo perché una persona non dovrebbe dedicarsi ad altre letture più rigorose e, sarebbe bello, più ottimiste.