Stamina, cosa succede dopo la consegna dei protocolli?

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Davide Vannoni, direttore di Stamina Foundation, ieri ha lasciato un faldone di documenti all’Istituto superiore di sanità. Come vi abbiamo raccontato, si tratta dei famosi protocolli relativi ai metodi di crescita delle sue cellule staminali, che secondo lui costituirebbero una potenziale terapia per migliaia di pazienti affetti da malattie neurodegenerative incurabili. Non nascondiamo che ci piacerebbe sfogliare queste carte della discordia, attorno alle quali si è generato un caso scientifico e mediatico che va avanti ormai da mesi. Da una parte la Stamina Foundation, che è intenzionata a ottenere l’autorizzazione delle autorità per avviare un protocollo ufficiale di sperimentazione; dall’altra la cosiddetta scienza ufficiale, che non può dare credito a un metodo che a tutt’oggi non è supportato da pubblicazioni scientifiche o evidenze riproducibili. 

In ogni caso, i protocolli non li abbiamo (ancora) visti. Per questo possiamo rimanere solo nel campo delle ipotesi. E provare a indovinare quali potrebbero essere i prossimi passi, anche perché per il caso Stamina non si segue la regolare procedura e non esiste una casistica precedente cui fare riferimento (a parte forse il metodo Di Bella). Abbiamo chiesto aiuto a Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. Neanche lui ha visto i protocolli, ma ci racconta che “normalmente il comitato dell’Istituto superiore di sanità e dell’Agenzia italiana per il farmaco, ricevuti i documenti, inizia dalla valutazione in merito scientifico. Si tratta di capire anzitutto se si tratta davvero di cellule staminali e poi di valutare come queste vengono prodotte. Se esiste una procedura standardizzata e se le colture sono sotto controllo”. Sarà possibile farlo per un prodotto per cui, per ammissione dello stesso Vannoni, non esiste alcuna ricetta? Il passo successivo è di valutare se esistono dei laboratori adatti alla produzione del preparato e se il protocollo ha un razionale scientifico solido. 

Supponiamo che le carte di Vannoni passino queste prove (“secondo me siamo molto lontani”, sostiene Garattini): la questione dovrebbe poi passare in mano a un comitato etico. Che dovrebbe valutare l’esistenza di condizioni amministrative e burocratiche adeguate, come per esempio la presenza di un testo chiaro per il consenso informato. È solo a questo punto che potrebbe avviarsi il protocollo clinico, focalizzato su aspetti più tecnici come parametri sperimentalirandomizzazione del campione e piano di ricerca

Saremmo (è d’obbligo continuare a usare il condizionale) arrivati così quasi alla fine dell’iter. L’ultimo step della procedura regolare prevede la registrazione ufficiale del protocollo presso le autorità competenti. E, a quel punto, potremo finalmente capire in cosa consistano le preparazioni di Vannoni. Ci auguriamo però che sia possibile un controllo da parte degli scienziati ancor prima di questo stadio. Anche perché, conclude Garattini, “l’intero iter normalmente dura diversi anni”. La sperimentazione da tre milioni di euro approvata dal Parlamento, invece, dovrebbe durare 18 mesi. Ma a partire dal primo luglio, giorno in cui Vannoni avrebbe dovuto presentare i protocolli.

Via: Wired.it

Credits immagine: Ferdinando Chiodo via Wikipedia

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