HomeSaluteStamina, la magistratura non può sostituire la scienza

Stamina, la magistratura non può sostituire la scienza

di
Federico Baglioni

Un giudice che autorizza un indagato (Marino Andolina) a proseguire con le infusioni su un piccolo paziente, trattato con il discusso metodo Stamina. Tutto nel clima di condanna quasi universale che ha ricevuto dalla comunità scientifica l’intera vicenda. Come è possibile che tribunali e scienza viaggino su binari così distanti? Dei cortocircuiti tra magistratura e ricerca, si è parlato ieri a Roma, nel corso dell’incontro dal titolo “Aspetti di metodo scientifico a partire dal caso Stamina”,organizzato dalla Scuola Superiore di Magistratura – Sezione Lazio, insieme al Gruppo 2003 per la ricerca scientifica. Galileo ha approfondito il tema con uno dei relatori, Amedeo Santosuosso, magistrato e docente di diritto, scienze e nuove tecnologie presso Università di Pavia.

Quali sono i problemi di fondo nel rapporto tra magistratura e scienza?

“Uno dei punti cruciali della questione è che i giudici non maneggiano alcune caratteristiche fondamentali del ragionamento scientifico, come il carattere probabilistico. Un medico non dirà mai che un trattamento funziona al 100%, ma parlerà di alta probabilità in base alle conoscenze scientifiche del momento. Il giudice, invece, si rivolge a scienziati, pretendendo una risposta precisa e definita. E da qui nascono equivoci ed errori”.

Quali equivoci ed errori?

“Ad esempio, il fatto che i giudici confondano il diritto alla salute, sancito dall’articolo 32 della Costituzione, con il diritto ad avere delle cose. Nel caso Stamina in alcuni provvedimenti si è tenuto conto che il paziente stava male, non aveva speranze, non c’erano cure e valeva quindi la pena provare un metodo, anche se non sicuro. Ma la scienza non funziona così e pure la Corte Costituzione si è espressa in modo chiaro: diritto alla salute significa entrare in relazione col mondo medico scientifico, ma rispettando e accettando metodi e regole di quel mondo”.

Qualcosa di simile avvenne a suo tempo con la terapia Di Bella?

“Non molto, per vari motivi. In quell’occasione la Corte Costituzionale aveva sancito che chiunque avesse il diritto di sottoporsi a quel tipo di trattamento, poiché c’era una legge che permetteva la sperimentazione, poi fortunatamente modificata. Nel caso Stamina, invece, la compromissione costituzionale è stata maggiore, a cominciare dal Ministero della Salute e dall’Ospedale civico di Brescia, unico ad aver permesso le cure. Diverse sono state anche le reazioni nel mondo scientifico: quindici anni fa si creò una spaccatura tra chi difendeva la chemio e chi promuoveva la cura Di Bella. E chi era contrario alla terapia non si mostrò molto comprensivo nei confronti dei malati”.

Dunque, anche gli scienziati ebbero le loro colpe.

“Esatto. Invece per Stamina la comunità medico-scientifica è stata molto compatta”.

Dopo quanto è successo con Stamina, come è possibile evitare che si ripetano errori simili?

“È importante che i magistrati capiscano che non ci si può sostituire alla scienza, nemmeno impugnando l’articolo 32 della Costituzione. Perché il diritto alla salute non si tutela con provvedimenti avventurosi, ma scrutinando le ragioni scientifiche. Il giudice deve, sì, rimanere indipendente e non prendere ordini per decidere le cause, ma non può farlo senza tener conto della conoscenza scientifica disponibile. Per questo vanno incrementate sempre di più le occasioni di incontri e riflessioni. Perché ogni magistrato impari i criteri per orientarsi, ragionare e decidere, senza essere indipendenti dalla razionalità scientifica”.

Credits immagine: ssalonso/Flickr

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