Cellule staminali neuronali che si duplicano stabilmente pressoché all’infinito: è questo il risultato di una ricerca condotta dalla University of California – San Diego School of Medicine in collaborazione con il Gladstone Institutes (San Francisco, USA) e pubblicata su Pnas. In particolare, gli studiosi statunitensi sostengono di aver sviluppato una tecnica che consente di bloccare la differenziazione delle cellule staminali embrionali senza intaccarne la capacità replicativa, e dunque di ottenerne enormi quantitativi.
Sebbene le staminali embrionali siano considerate dalla comunità scientifica una delle soluzioni più promettenti per la cura di diverse patologie, alcune difficoltà tecniche, oltre che le ben note questioni etiche, ne hanno finora limitato lo studio e l’impiego. In particolare, a incrementare i problemi tecnici è sempre stata l’impossibilità di mantenere le cellule staminali in un stato solo parzialmente differenziato, ovvero di cellule capaci di differenziarsi soltanto in alcuni sottotipi cellulari ma comunque in grado di replicarsi indefinitivamente. In condizioni normali, infatti, quando una cellula di questo tipo si divide, solo una delle due cellule figlie mantiene le proprietà della madre, mentre l’altra continua nel processo di differenziazione.
Adesso, il gruppo guidato da Kang Zhang, direttore dell’Istituto di Medicina Genomica della University of California – San Diego, ha scoperto che, aggiungendo nel terreno di coltura due piccole molecole (l’inibitore della glicogeno sintasi chinasi e quello del fattore di crescita trasformante beta), le staminali neuroepiteliali embrionali si duplicano stabilmente, così da generare grandi quantità di cellule. Poi, eliminando i due inibitori in questione, le cellule possono essere trasformate in cellule adulte del mesencefalo e rombencefalo, fra cui i neuroni dopaminergici (i principali attori nel morbo di Parkinson). È proprio la temporaneità dell’effetto di questi due inibitori a rendere particolarmente allettante la ricerca: basta toglierli, infatti, e le cellule continuano il normale processo di differenziazione. In questo modo, sostengono i ricercatori, si riducono pressoché a zero le possibilità che le cellule diventino tumorigeniche una volta somministrate ai pazienti, perché nel procedimento non sono previste delle modifiche più durature (come l’inserzione di geni per stimolare la crescita cellulare).
“È un grande passo in avanti – ha spiegato Kang Zhang – perché ci permette di generare un enorme numero di staminali neuronali pronte per l’uso nelle sperimentazioni cliniche”. Le cellule staminali neuroepiteliali embrionali, infatti, possono poi essere facilmente differenziate in diversi tipi di neuroni responsabili di patologie come la sclerosi laterale amiotrofica, il morbo di Parkinson, la degenerazione maculare e la retinite pigmetosa, tanto per citarne alcune.
Come hanno sottolineato i ricercatori, inoltre, la scoperta potrebbe essere applicata ad altre cellule staminali. “Potenzialmente – spiega il gruppo – basta trovare il giusto cocktail molecolare e si potrebbe ottenere la stesso risultato anche per le cellule precursori del cuore, del pancreas o dei muscoli”.
Riferimenti: Pnas doi:10.1073/pnas.1014041108