“Un meraviglioso dono dalla natura”: questa la descrizione che fece Akira Endo, lo scienziato che, attraverso una geniale intuizione, isolò per la prima volta nel 1987, dei metaboliti attivi destinati ad entrare e a restare fino ad oggi sul mercato farmaceutico internazionale per l’impiego nella prevenzione primaria delle malattie cardiache e coronariche e a determinare un sensibile miglioramento della qualità della vita di milioni di persone. Le statine costituiscono, infatti, una classe di farmaci dalle spiccate proprietà ipolipidemizzanti, ovvero in grado di abbassare i livelli di colesterolo nel sangue, per la capacità di agire come inibitori competitivi della 3-idrossi-3-metilglutaril coenzima A (HMG-CoA) reduttasi, l’enzima chiave implicato nella biosintesi del colesterolo. Non solo: negli ultimi anni, diversi sono gli effetti biologici e farmacologici identificati, che suggeriscono nuove possibilità di utilizzo terapeutico di questa classe di farmaci per un gran numero di patologie acute e croniche. Allo stesso tempo però sono emerse nuove evidenze cliniche circa la comparsa di eventi avversi, in particolare riguardanti l’associazione tra l’uso delle statine e l’insorgenza di diabete mellito.
La questione che divide la comunità scientifica è dunque: le statine abbassano il rischio di malattia cardiovascolare nei pazienti affetti da diabete o, al contrario, aumentano il rischio di sviluppare il diabete e le malattie cardiovascolari, tra l’altro causa primaria di mortalità e morbilità tra i pazienti con diagnosi di diabete di tipo 2? Da un lato, uno studio epidemiologico pubblicato sulla rivista internazionale British Medical Journal, rivela, dall’analisi di 471 250 persone di età maggiore di 66 anni, che i pazienti che assumono statine (in particolare atorvastatina, rosuvastatina e simvastatina) ad elevato dosaggio mostrano un rischio più elevato di sviluppare il diabete rispetto a quelli trattati con le stesse statine a basso dosaggio. D’altra parte una metanalisi di de Vries dello scorso anno, dimostra che i pazienti con diabete a rischio cardiovascolare sperimentano una riduzione del rischio relativo per i grandi eventi cerebrovascolari, rispettivamente, del 15% e 24%, se trattatati con statine a dosaggio standard o elevato. E da aggiungersi, l’ultima metanalisi in ordine di tempo, pubblicata sulla rivista internazionale Expert Opinion on Drug Safety, sembra confermare ed alimentare il dibattito controverso: la ricerca di articoli e recensioni originali pubblicati tra gennaio 2010 e maggio 2015, conferma i risultati discordanti sull’attività delle statine nell’omeostasi del glucosio.
Quale sia il meccanismo associato non è ancora chiarito: inibizione del trasporto del glucosio delle cellule β pancreatiche e dei canali del calcio insulino-dipendenti, ritardo nella produzione di ATP, effetto pro-infiammatorio ed ossidativo sulle cellule beta, induzione di morte cellulare attraverso apoptosi sono solo alcuni tra quelli suggeriti. Un nodo difficile da sciogliere, dunque, che sta impegnando gli scienziati su diversi fronti: l’accertamento della correlazione, la valutazione del rapporto rischio/beneficio e la progettazione di un razionale individualizzato nella terapia con le statine. La nuova frontiera della ricerca e della clinica è, infatti, rivolta esattamente all’individuazione di criteri univoci di definizione del rischio e della stima, caso per caso, dell’efficacia clinica, delle modalità di somministrazione e del dosaggio adeguato. Luci ed ombre che rivelano un concetto noto dall’alba dei tempi: la doppia faccia di un farmaco, sostanza curativa sì, ma anche potenzialmente dannosa, di cui è necessario disporre, per il principio di precauzione, guidati da responsabilità e dalla conoscenza dei benefici e dei rischi.
Riferimenti: Bifulco M, Endo A. “Statin: new life for an old drug” Pharmacol Res. 2014 Oct;88:1-2; Bifulco M. “Risk of diabetes with statins must be monitored in each patient” BMJ. 2013 Jul 2;347:f4170.
Credits immagine: Tim Gillin/Flickr CC
Molto interessante…di fatto la relazione statine-diabete è nota gia da molto tempo, ben prima del 2010. Così come è noto da tempo l’effetto delle statine sul coenzima Q10. Ricordo bene le polemiche che, puntualmente, emergevano ad ogni convegno (all’epoca lavoravo per una nota casa farmaceutica). Il meccanismo di azione più probabile riguarda appunto il CQ10 che, riducendosi, determina l’alterazione della funzionalità della catena di trasporto degli elettroni a livello mitocondriale, in particolare nelle cellule muscolari (così si spiegano i dolori derivati dall’assunzione di statine), nelle cellule renali e nelle cellule Beta del pancreas.