Jon Agar
The Government Machine. A Revolutionary History of the Computer
MIT Press 2003 pp.576, euro 49,24
La storia dell’informatica è diventata uno dei settori specialistici più importanti nella storia della scienza e della tecnologia: essa consente la comprensione di un prodotto tecnologico e scientifico – ovvero il computer – che nel corso dell’ultimo secolo ha permesso la trasformazione della società nel suo complesso. In questo libro Jon Agar, docente del Centro di storia e filosofia della scienza dell’Università di Cambridge offre una prospettiva storiografica innovativa. L’approccio di Agar si allontana da un certo storicismo ‘internalista’ che ha spiegato l’evoluzione del computer come sequenza di scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche, e da coloro che in passato hanno legato il computer solo a contingenze sociali ed economiche. Piuttosto, secondo Agar, gli storici dell’informatica devono spiegare le pratiche discorsive, le analogie e le metafore che anticipano e favoriscono l’introduzione del computer.Il computer è una macchina che ha più funzioni ed è governata da un codice. Anche la burocrazia del governo (il Civil Service in inglese) è una ‘macchina’ che ha più funzioni ed è governata da un codice, e deve assicurare il controllo e la regolazione dei meccanismi della cosa pubblica. L’idea dello Stato come macchina ben oliata, efficiente, capace di assicurare le funzioni generali dell’amministrazione, è stata quindi – secondo Agar – una metafora generativa (mutuando il termine dalla filosofia della biologia di Ernst Mayr) che ha anticipato e favorito l’introduzione del computer. Per corroborare la sua tesi, Agar ricostruisce puntigliosamente la storia del Civil Service britannico, della sua sede- Whitehall – e dei tentativi di innovarlo proprio a partire dalla meccanizzazione delle funzioni di governo. Ne emerge per esempio che il tentativo di Charles Babbage di costruire una ‘macchina analitica’ (precursore del moderno computer) non può essere scisso dal suo impegno come parlamentare conservatore per l’innovazione della burocrazia britannica. Oppure, che la descrizione della ‘macchina universale’ di Alan Turing, generalmente considerata come il modello logico-matematico di quello che poi sarà il computer, contiene riferimenti fondamentali alla struttura organizzativa dei funzionari di governo. In particolare, essa riflette la distinzione tra le funzioni dei cosiddetti ‘generalisti’, che assolvono le funzioni intellettuali del Civil Service e quelle degli ‘specialisti’, che debbono meccanicamente assicurare, con carta e penna, la esecuzione delle decisioni prese. La metafora del governo-macchina e le sue teorizzazioni non solo influenzano il processo di innovazione tecnologica, ma favoriscono anche la loro applicazione nel contesto della burocrazia governativa generando un circolo virtuoso. Ecco quindi che (grazie anche a una notevole quantità di materiale proveniente sia dal National Archive for the History of Computing dell’Università di Manchester che dal Public Record Office britannico) il volume mostra come dalla metafora del governo-macchina si sia passati alla meccanizzazione del governo britannico. Ricco di inedite illustrazioni, estremamente dettagliato nella analisi dei documenti storici, questo libro presenta una storia dell’informatica che non celebra le sue scoperte e che non da per scontato il loro carattere rivoluzionario, ma che spiega come e perché la società contemporanea (almeno in una nazione come la Gran Bretagna) abbia adottato mezzi meccanici per l’elaborazione dei dati e il calcolo, cosa ne ha favorito l’adozione e quali conflitti politici, sociali ed economici tale adozione abbia generato. L’unico aspetto negativo di questo volume è che la ricchezza di dati talvolta sostituisce l’analisi sulla loro importanza. In ogni caso, una guida essenziale per chi voglia riesaminare la nascita e la storia del computer a partire dalla sua ‘cultura materiale’.