Agli inizi del secolo scorso l’ecologia e le scienze ambientali non avevano ancora un posto di rilievo nella formazione scientifica, né la medicina prestava particolare attenzione alle caratteristiche degli ambienti in cui si sviluppavano malattie. In un certo senso, era come se la vita si svolgesse secondo leggi proprie, indipendente dal contesto e dalle condizioni esterne. Cristina Mangia e Sabrina Presto, entrambe ricercatrici CNR, raccontano le attività delle dieci scienziate visionarie che, tra difficoltà e incomprensioni, hanno cercato di mettere in evidenza le relazioni tra i viventi, sfidando opinioni consolidate e interessi di parte, ma riuscendo a dare importanti e innovativi contributi nei settori della salute e dell’ambiente.
Una ricercatrice sul campo
Con il loro lavoro queste dieci scienziate hanno contribuito a far comprendere meglio e a valorizzare la complessa relazione tra gli organismi e le condizioni di vita, sia nel campo della prevenzione e della medicina umana sia sviluppando approcci sistemici nella conoscenza biologica. Nel secolo scorso, infatti, anche come conseguenza delle loro attività, prende gradualmente forma la consapevolezza della stretta dipendenza di alcune malattie dall’inquinamento esterno: è esemplare il lavoro di Beverly Paigen che scopre come i rifiuti scaricati da una azienda chimica in un territorio piuttosto esteso nella zona di Love Canal, vicina alle celeberrime cascate del Niagara, siano la causa principale di aborti, malformazioni e tumori nella popolazione residente. Il confronto tra la ricercatrice e il direttore del Dipartimento della Salute mette in evidenza la difficoltà di far accettare i risultati di un lavoro svolto da una donna sul campo (e non in un Ente di ricerca), in conflitto con potenti interessi economici in gioco. All’interno di strutture universitarie si svolge invece il lavoro di Lynn Margulis, la biologa che ha compreso come le cellule eucariotiche potessero aver avuto origine da processi di simbiosi tra organismi primordiali, dando una interpretazione originale ai meccanismi evolutivi darwiniani. Di ecologia vegetale si occupano invece Suzanne Simard e Wangri Muta Maathai ponendo, ciascuna col suo lavoro le radici per lo sviluppo del pensiero ambientalista scientifico.
Le donne nella scienza
Nella prefazione al libro, Sara Sesti lamenta come l’apporto delle donne alla scienza sia stato per lo più cancellato, minimizzato o attribuito a colleghi maschi, e scrive della necessità di sviluppare la parità di genere e di superare ogni dualismo per arrivare ad una scienza più umana. E’ passato più di mezzo secolo dai lavori presentati nel libro, e i problemi ambientali sono ormai sotto gli occhi di tutti, uomini e donne che con crescenti dosi di consapevolezza si occupano del futuro del pianeta. La difficoltà per le donne di accedere alla carriera scientifica sembra un problema generale e condiviso a diversi livelli in Europa, in America, in Africa; personalmente, sia per esperienza diretta sia parlando con colleghe scienziate, mi sembrerebbe importante distinguere aspetti scientifici da aspetti sociali ed economici. Non potrei sostenere, infatti, che la scienza fatta da donne abbia caratteristiche diverse da quella fatta da uomini. Il confronto tra idee, lo studio e l’accuratezza nelle sperimentazioni, la validità dei dati, la richiesta di fondi, una vivace competizione, la pubblicazione dei risultati non sembrano condizionati dal genere. Penso alla difficile e fascinosa vita di Levi-Montalcini, al Nobel di Frances Arnold, a quello per la scoperta della CRISPR da parte di due ricercatrici donne. È vero che la carriera scientifica attrae più uomini che donne, ma non è l’unico campo in cui si trova una maggiore presenza maschile: l’attività di ricerca richiede un impegno e una libera scelta di vita, una ricerca di soddisfazioni personali che, ai giorni nostri, è ancora mal sostenuta dalla attuale struttura sociale.
Attivismo e comunicazione
Nonostante disagi e fatiche, gli onori e i riconoscimenti non sono mancati alle dieci donne citate dalle autrici: ne sono testimoni il successo mondiale dei libri di Donella Meadows, la rivoluzione nella sanità pubblica dovuta a Sara Baker, il premio alternativo al Nobel assegnato dal Parlamento svedese a Alice Stewart, i riconoscimenti scientifici a Suzanne Simard per le sue scoperte sulla rete micorrizica che mette in comunicazione trofica gli alberi di un ecosistema. Anche al livello accademico e politico i risultati sperimentali di queste scienziate cambiano, nel loro insieme, modi di pensare tradizionali: si comprende come la vita dipenda dalle condizioni dell’ambiente in cui si svolge, e di conseguenza anche la struttura teorica delle discipline viene sollecitata al cambiamento. Per esempio, la teoria darwiniana dell’evoluzione viene interpretata come una co-evoluzione, le idee di interdipendenza tra viventi diventano essenziali per comprendere la resilienza delle piante ai cambiamenti climatici, in campo sanitario gli effetti nocivi delle radiazioni e dell’inquinamento sono più accuratamente controllati e portano ad una maggiore conoscenza del sistemi-ambiente. Insieme alla consapevolezza, però, i cambiamenti richiedono soldi e modificazione dei sistemi di potere: la cura della salute ambientale è costosa e si scontra con l’uso ormai consolidato dell’ambiente come discarica. I piccoli cambiamenti proposti dal libro attraverso le biografie delle scienziate sono un primo passo ma, per raggiungere un livello di buone pratiche efficaci e di consapevole intervento politico, un lavoro visionario certamente non basta. Le autrici affermano la necessità di affrontare temi ambientali e di salute pubblica da una prospettiva di ricerca pubblica, chiamando in causa la politica, l’economia, i territori, l’attivismo, la comunicazione.
Il coraggio di Laura Conti
La figura di Laura Conti, fondatrice della associazione che oggi si chiama Legambiente, rappresenta per le autrici un costante punto di riferimento e uno stimolo ad operare in modo non settoriale, tenendo conto della globalità di ogni situazione. La sua figura è tratteggiata a chiusura del libro, come stimolo a sostenere con coraggio dei modi di pensare e di operare che vadano nella direzione di una maggiore giustizia sociale e ambientale. La conclusione è lasciata a un pensiero di Michela Murgia: le storie sono dei ponti che chi scrive costruisce a metà, l’altra parte sta a chi legge. Ed è oggi chi legge che ha il compito di operare per un mondo più sostenibile.
Credits immagine di copertina: Singkham via Pexels